Rassegna storica del Risorgimento

1857 ; BON COMPAGNI CARLO ; RATTAZZI URBANO ; CAVOUR, CAMILLO B
anno <1961>   pagina <697>
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Carlo Pischedda
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ile il eonte Cavour ne il generale La Mormora inanellerebbe di tutta il prestigio elle potesse renderlo autorevole. Le difficoltà che ora si all'uccia no agli uomini che stanno ai Governo sarebbero assai maggiori per chiunqno ci fosse nuovamente assunto. Ne attenendosi allo spinto che dehhe informare un governo sinceramente parlamentare vi ha motivo per cui un Ministero debba dimettersi, finche non vi ha una maggioranza che sia disposta ad osteg­giarlo, ed un nuovo Ministero che possa più felicemente assumere le redini dello Stato.
Il secondo partito potrebbe assicurare l'andamento regolare delle operazioni legi­slative, se pure il partito che aderisce al Ministero, avvertito dalla lezione che gli toccò-, divenisse più operoso e più disciplinato. Ma con tutto ciò non sarebbe peranco soddisfatto alle esigenze di un sistema sinceramente liberale, le quali prescrìvono che per soddisfare ai voti dell'opinione pubblica non si aspetti il momento in cui questa si manifesta dal suffragio di una opposizione parlamentare prevalente negli squittinì*.
La riunione delle varie frazioni della porte liberale e l'ottenere da esse che si lascino capitanare dal Ministero pormi adunque il solo partito possibile, il solo che possa preservate il paese dai pericoli di cui lo minaccia la parte clericale. L'argomento do addarsi per ottenere questa riunione è molto semplice. Voi non consentite forse con noi in tutto, non approvate forse tutti i nostri atti, ma pure volete una politica liberale, e questa politica diviene impossibile se noi ci dividiamo. Questa osservazione è così ovvia che pare impossi­bile che non sia riconosciuta da tutti. Se non che, per tenere riuniti i liberali non basta dichiarare che si avverso la parte clericale; conviene avere un programma molto preciso, e questo programma, se per una parte non debbe contrariare alcuna delle aspirazioni di coloro da cui si brama che appoggino il Ministero nella Camera, debbe anche tener conto delle opinioni e delle abitudini del paese, e quando dico il paese non intendo solamente coloro che si occupano abitualmente di politica, ma quelli puronche, e fra noi sono in mag­gior numero che non vorrei, i quali al Governo non domandano altro che l'ordine pubblico. e la prosperità materiale. Forse fu uno degli inconvenienti di questi ultimi anni il credere che l'opposizione alla dominazione austriaca in Italia ed alle prerogative temporali del clero bastassero a formare un programma di politica liberale.
I copi sotto i quali può ridursi il programma in cui è necessario che consentano tutte le parti liberali della Camera sono i seguenti, a parer mio:
1) Conservazione, nella loro integrità e senza alcuna modificazione, delle leggi attuali sulle elezioni e sulla stampo. Non sarà impossibile che, dopo il fatto delle ultime elezioni, si rinnovino e divengano più vivi gU uffici di qualche potenza amico, per ottenere in alcuno parte modificato io legge sulla stampa. Ma ciascuno vede che se tali proposizioni non erano accettabili finora, esse sarebbero ancora più inaccettabili dappoiché la porte che naturalmente avversa la libertà dello stampa si mostrò più potente che noi non la credessimo. Tuttavia, non è da omettere alcuna occasione né privata né pubblica per esprimere quanto si disapprovi le enormezze di alcuni giornali anticlericali. Il male vero non procede dalla stampa cattiva, ma da una cotale intimidazione che la stampo cattiva esercita su molti. Per distruggere questa intimidazione é necessario che il Governo dia l'esempio di non temerla. Se gli uomini ohe dirigono questa stampa si rivolgeranno contro di noi sarà un mole, ma sarà un mole minore di quello che essi fanno alla libertà diso­norandola.
2) Perseveranza nella politica nazionale ed italiana. Ma anche qui importa di definire precisamente il concetto. Politica nazionale non vuol dire politica aggressiva, non vuol dire, come mostrano di credere molti i quali se ne fanno patrocinatori, che sia immi­nente una lotta, la quale non può arrivare che in un avvenire indeterminato e indetermi­nabile; non vuol dire che il Governo costituzionale dei Piemonte debba affacciarsi all'Au­stria e agli altri governi della penisola o che debba affacciarsi ai cittadini più pacifici come una minaccia continua. L'indipendenza italiana é il principio che noi abbiamo proclamato nel 1848, e che non possiamo abbandonare senza rinunciare alle nostre più gloriose spe­ranze. Ma finché l'Europa mantiene in vigore, in ciò che spetta all'Italia, i trattati del 1815, noi non possiamo patrocinare l'indipendenza della patria comune se non in quella misura ohe consentono quei trattati. Ed anche ciò non possiamo fare se non in quella proporzione,