Rassegna storica del Risorgimento
1857 ; BON COMPAGNI CARLO ; RATTAZZI URBANO ; CAVOUR, CAMILLO B
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Libri e periodici 707
ERNESTO PONTI ERI, Il riformismo borbonico nella Sicilia dèi Sette e deWOuocentox Napoli; ESI, 1961, in 8, pp. 36S. L. 3000.
Non pia che una brevissima segnalazione per la seconda edizione di un'opera che ha fatto testo nella storiografia meridionalistica dell'ultimo quindicennio. Scendere ad un esame più minuzioso implicherebbe impostare ed affrontare problemi sui quali si è nel frattempo esercitata operosamente la critica storica, come il viceregno Caracciolo, o che tuttora languono nell'attesa del loro indagatore di buona volontà, come il trentennio di Ferdinando II, specialmente nel suo terzo, e pia fosco e tormentato decennio. L'A. ha apportato qualche ritocco di dettaglio, un accurato aggiornamento bibliografico ed alcuni arricchimenti non trascurabili. Ma le linee maestre dell'opera sono restate intatte, segno che il tipo d'impostazione s'è rivelato indovinato e fruttuoso, e che i suggerimenti in essa impliciti mantengono tuttora la loro validità. Ci limitiamo perciò a ricordare allo studioso la struttura del volume, sottolineando qua e là quelle illuminazioni più fervide che stimolano ancora ad approfondita ricerca.
Al saggio introduttivo, che accentua i temi del risultato anti-feudalc dell'assolutismo poliico spagnolo nel continente, in contrasto con l'immobilimo siciliano, derivato dalla sopravvivenza dei bracci come entità organiche politicamente attive, fa seguito una dotta ed interessante indagine demografica, che illumina alcuni massicci fenomeii di spopolamento, inquadrandoli in una generale prospettiva di compressione fiscale e di depressione economica. Ed eccoci al fondamentale saggio sul Caracciolo, intorno al quale, fino alla recentissima indagine del Catalano, hanno ruotato gli studi sull'importante argomento. L'A. pone in vivissima luce l'ispirazione europea e la derivazione genovesiana, e perciò tutta impregnata di concreto riformismo civile ed economico, dell'opera del Caracciolo, nel quale qualche accenno all'istruzione militare della nobiltà ed all'accentramento statale in campo educativo sembrerebbe mutuato da Tiberio Carafa. Prudentemente poco entusiasta per gli aspetti più vistosamente anticlericali e giuseppi-nisti dell'opera del viceré, l'A. ne sottolinea con forza ed opportunità gli elementi schiettamente sociali, la cui carica eversivo, com'è noto, apparve senz'altro rivoluzionaria. Di particolare interesse è l'insistenza del Caracciolo sull'enfiteusi e sul credito agrario quali principali strumenti, rispettivamente sul piano giuridico contrattuale e su quello dell'investimento capitalistico, di una concreta politica di riforma agraria. E ciò perehè, un secolo più tardi, sui medesimi presupposti ruoterà l'impostazione meridionalistica del Sonnino: una prova di più della modernità di vedute del patrizio napoletano e, corrispondentemente, dell'anacronismo del barone toscano, tipico onnipotente ministro d'un sovrano illuminato settecentesco, sordo ai cangiamenti di struttura verificatisi in un panorama nazionale in modificazione rapidissima ed incessante. Né meno degna di nota appare l'opinione dell'A. di retrodatare alla vigilia della rivoluzione l'insorgere d'ima specifica questione siciliana, fissato, come si sa, dal Cortese all'epoca del liberalismo costituzionale anglofilo della guerra contro Napoleone. Ed il centrale argomento della soppressione del S. Uffizio offre modo all'A. di soffermarsi sulle conseguenze civili e politiche, con larghissimo aggancio economico, più che strettamente ideologiche, di tale provvedimento: uno sfondo sostanziato da ricerche sui tentativi catastali del Caracciolo e sull'evoluzione del suo pensiero in materia annonaria e doganale verso i lidi d'un temperato protezionismo.
Col nuovo secolo, l'attenzione dell'A., con un saggio scritto appositamente per questa nuova edizione, torna a serrarsi con simpatica adesione sulla figura d'un riformatore, d'uno spirito moderno, del Medici, che, pensoso degli interessi della nascente borghesia capitalistica, si oppone strenuamente all'imposizione di una tassa sugli affari. Di molto rilievo sono i severissimi e quasi catastrofici rapporti di Pietro Ulloa sullo stato della Sicilia nel 1838, al termine del giovanile periodo riformistico di Ferdinando li: le responsabilità della borghesia professionistica e dell'amministrazione statale vi appaiono in una luce particolarmente cruda, collegate come sono, e come a ragione sottolinea l'A., col permanere di un incontrollato prcpotere economico da parte dell'aristocrazia. Non si venne alla drastica soluzione accentratrice della soppressione dell'autonomia amministrativa siciliaua, caldeggiata dall'Ulloa, né d'altronde i tentativi riformistici superarono una