Rassegna storica del Risorgimento
1857 ; BON COMPAGNI CARLO ; RATTAZZI URBANO ; CAVOUR, CAMILLO B
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Libri e periodici
tradizione fra le più insigni, degli studi risorgimentali, con la pubblicazione di questo elegante volume, che si pone essenzialmente come freschissima testimonianza diretta dell'atmosfera cittadina di Faenza nel decennio posteriore alla restaurazione pontificia del 1849. La sede e l'epoca appaiono di singolare interesse. Faenza è la città dove il contrasto ideologico religioso e più aspro ed intollerante che altrove in Romagna, anche se le soluzioni politiche e sociali del conflitto non appaiono poi così avanzate come il peso dei ceti artigiani urbani impone a Forlì e Cesena, delle masse bracciantili e campagnole ad Imola e Ravenna. Ed i grigi e pesanti anni posteriori al ritorno di Pio IX assistono ad un esacerbarsi del dissidio, ad un moltiplicarsi di violenze spesso sanguinose e di repressioni massicce non di rado affidate al vigore delle baionette austriache, che era stato lungo vanto della politica pontificia, anche negli anni bui del governo gregoriano, confinare sulle sponde del Po. Ed il testimone è un uomo d'eccezione, d'una famìglia parimenti straordinaria. Il nome di Alfredo Comandini, allo studioso di cose risorgimentali balza subito simpaticamente alla memoria per quella sua monumentale, certosina compilazione centenaria, che di tanta utilità e di così prezioso sussidio gli è stata nelle più varie circostanze. Ma, ordinando i ricordi, il nostro studioso rammenterà benissimo il brillante giornalista della Lombardia e del Corriere delta Sera (ne rammenterà oltre tutto le pungenti lettere a Cavallotti pubblicate di recente) e poi ancora l'autorevole deputato' sonni-niano, il rappresentante tipico, cioè, di quella decantazione a destra dell'antica maggioranza progressista crispina posteriore ad Adua ed alle elezioni del 1897. Bla il nome dei Comandini suggerirà al nostro studioso altri prepotenti ricordi: Ubaldo, innanzi tutto, il deputato repubblicano di Cesena, che per primo, col Barzilai, accettò responsabilità di governo gravosissime nell'ora della concordia nazionale della patria in armi, dopo aver avversato l'impresa di Libia e propugnato, in memorabili discussioni, l'autonomia comunale e la laicità della scuola; e poi Federico, il noto patriota coinvolto duramente nelle risonanze romagnole del moto mazziniano del 6 febbraio, padre del nostro Alfredo; e poi un altro Federico, questo vegeto ed attivissimo, la cui parola chi scrive ricorda di aver sentito levarsi nella migliore tradizione liberale e repubblicana in una storica, recente occasione elettorale, e che ha dettato la prefazione del presente volume con prudente e sagace spirito di storico. Ma il nostro volume ci offre la grata e vivace sorpresa di un altro Comandini, Giacomo, al quale si deve un'introduzione briosa e garbata, ricca talora d'un rattenuto umorismo (quella sfilata di truppe e di carriaggi nell'estate 1859 m'ha fatto tornare alla memoria il manzoniano passaggio dell'esercito imperiale!) ma spesso d'una soda ed interessante erudizione.
lì libro in sé, s'intende, arrestandosi alla primissima adolescenza dello scrittore, non ha vera sostanza critica, ma si pone come una mossa ricostruzione d'ambiente, dovuta ad un giornalista che conosce il suo mestiere e sa opportunamente sottolineare anche particolari in apparenza insignificanti. Finemente e delicatamente psicologiche, ad esempio, sono le notazioni sulla devozione religiosa della madre dell'A. (e si potrebbe allargare ad illuminare il singolare fervore cattolico della Romagna anticlericale). Suscettibili di sviluppo e d'approfondimento non solo sul piano del costume risultano le osservazioni sulla raffinatezza di tratto, di abitudini e spesso di cultura dei ceti bottegai ed artigiani romagnoli. Ed infine, dietro quei truci ricordi di ferimenti e d'assassini, varrebbe la pena d'indagare se tale costume di violenza si coUegassc, come reazione per ciò anche anticlericale, agli aspetti più vessatori del regime pontificio, o non piuttosto, e più. remotamente, si giustificasse con la passionalità politica e personalistica del popolo; e, in quest'ultimo caso (che appare il più probabile) gioverebbe illustrare l'anacronismo e, in un certo senso, la sommarietà di simile procedere, ed approfondirne la cagioni psicologiche e sociali. Ma a questo punto il discorso si farebbe complesso e, por me non romagnolo, estremamente ipotetico, sicché preferisco troncarlo, rinnovando i sensi della gratitudine degli studiosi a quanti, più o meno direttamente, hanno dato opera olla realizzazione di questo volume, per tanti versi prezioso ed attraente. RAFJCÀEUS COBAMETRA.