Rassegna storica del Risorgimento
GIANSENISMO
anno
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1962
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pagina
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576
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576 Alberto Aquarone
giansenisti sicuramente tali giustifichi solo in parte questa asserzione e che i termini del problema vadano in un certo senso rovesciati: non sono già i giansenisti del tardo Settecento italiani ad essere diventati insensibili, o quasi, ai problemi teologici da cui il giansenismo era nato e su cui era Vissuto, ma è la qualifica di giansenista che è stata attribuita a chi non lo era e che è apparso così un giansenista sordo a quei problemi, a quegli interessi. Come ha osservato giustamente Francesco Ruffini, 9 la controversia giansenistica si svolge sempre in triplice direzione: sopra la dottrina della grazia, sopra la dottrina della penitenza, sopra la gerarchia. Ora, se è vero che lungo il secolo XVIH andò sempre più affermandosi Tinte-resse dei giansenisti italiani per il problema dell'organizzazione gerarchica della Chiesa, della natura e dell'estensione dei poteri rispettivi del pontefice, dei vescovi e dei parroci, e che di qui la loro polemica si andò allargando gradualmente a tutta la complessa e spinosa questione dei rapporti fra Stato e Chiesa, fra società civile e società religiosa, non per questo la loro attenzione fu monopolizzata esclusivamente da questi temi a scapito degli altri, di quelli cioè di squisito contenuto dottrinale, che poco o anzi nulla avevano a che fare con giurisdizionalismo, regalismo, diritto pubblico ecclesiastico in genere.2) Certo, come allora la loro polemica a sfondo più direttamente politico ebbe una ben maggior risonanza tra i contemporanei che non quella teologica, suscitando l'interesse e talvolta accendendo le passioni anche di un pubblico più vasto, che se restava indifferente alle questioni della grazia sufficiente e della grazia efficace, della contrizione e della attrizione, ai nomi di Molina e di Palafox, di Pelagio e di Quesnel,
*) F. RUFFINI, La vita religiosa di Alessandro Manzoni, Bari, 1931, voL I, p. 36. Sui piti importanti aspetti della teologia giansenista cfr. pure, oltre naturalmente al fondamentale volume dello J emolo, già citato, F. RUFFINI, Natura e grazia, libero arbitrio e predestinazione secondo la dottrina giansenistica, ora in Studi sul giansenismo, con introduzione e a cura di E. CQBIGÌN'OLA, Firenze, 1943, pp. 31-124. Del resto, non è una mera coincidenza il fatto che sìa il Tamburini, sia lo Zola, ossia due tra i principali esponenti del pensiero giansenista italiano, abbiano esordito nella loro attività di studiosi trattando specificatamente del problema della grazia: il primo, nel 1771, con la De stemma catholicae de grazia Coristi doclrinae praestantia utilitate oc necessitate dissertalio, il secondo, nel 1775 con il Theologùarum praelecUonum specimen I, De locis tlieologiae moralis.
2) Del resto una parabola analoga segui pure il giansenismo francese, come ha ricordato C. CAHIBTIA, Perche Vincenzo Gioberti avversò in giansenismo, in. Rassegna storica del Risorgimento, 1952, p. 473, riprendendo del resto le osservazioni in proposito di Salute-Beuve nel suo PortRoyul. In Francia, anzi, la politicizzazione del giansenismo raggiunse estremi molto più appariscenti, sopra tutto in quanto le polemiche tra giansenisti ed auii-gianscnisti s'intrecciarono od un certo punto, lino quasi a confondersi, con la lunga e aspra lotta fra i parlamenti e la Corona. Significativo a questo riguardo l'episodio narrato dal SUmondi al Rcuchlin, storico tedesco del giansenismo, di quel parlamentare della Francia meridionale, da lai conosciuto, il quale non si peritò di dirgli tranquillamente Si, sono ateo, ma giansenista . Il fatto ò ricordato da E. PASSEIUSS*, ha politica dei giansenisti, cit., p. 154.