Rassegna storica del Risorgimento
GIANSENISMO
anno
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1962
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pagina
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616
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Alberto Aquarone
la carica obiettivamente rivoluzionaria, a prescindere anche dal contenuto) delle dottrine specificatamente sostenute e professate, di questa fiducia, potremmo dire di questo amore dei giansenisti per la diffusione dei lumi della ragione attraverso i libri, fu istintivamente compreso dalle masse popolari, che dopo lo scoppio della Rivoluzione francese subodorarono essere proprio in quei libri tanto studiati e così tenacemente divulgati dai giansenisti una delle cause di così nefasto rivolgimento, minacciante alle radici la stessa religione rivelata; e di ciò si resero conto in qualche occasione gli stessi giansenisti, per esempio i maestri del Convitto Ecclesiastico di Livorno, fondato dall'attivissimo proposto Baldovinetti, i quali, intuendo che proprio contro la biblioteca si sarebbe abbattuta alla prima occasione l'ira dei misoneisti che volevano spento il seme del giansenismo , quell'ira che in effetti esplose furibonda nella sollevazione popolare livornese del 31 maggio e 1 giugno 1790, cercarono prima che fosse troppo tardi di mettere in salvo quel che era possibile portando via casse intere di libri.1)
In questo loro atteggiamento generale, che con contraddizione che potrebbe parere singolare, ma certo non nuova, comunque, nella storia della cultura religiosa, accomunava ad una larga sfiducia nella capacità dell'uomo di discernere da solo il bene dal male una convinzione profonda e sincera nella fecondità dell'educazione e dell'esercizio della ragione,2) e rifiutava
*' Cfr. sa ciò la lettera del 3 giugno 1790 indirizzata al Baldovinetti da Lorenzo Baroni, conservata nell'Archivio di Stato di Livorno, e citata in G. CAZZANIGA, Un giansenista toscano: Antonio Baldovinetti proposto di Livorno, Livorno, 1939 (estratto dal Bollettino storico livornese, 1939). Del Baldovinetti, amico e collaboratore del Ricci e una delle figure più eminenti, e più attive, del giansenismo in Toscana, il Lampredi, irriducibile avversario della polìtica ecclesiastica dell'arciduca Leopoldo come di tutto il movimento giansenista, scriveva nel 1789, con la sua consueta astiosità: Questo è un prete ignorante, che non potendo farsi valere per nessun attributo stimabile si è gettato nella. cloaca del pazzi, che pagano il boia che li frusti, e vi riescono maravigliosamente. E inesplicabile la cecità di costoro, che hanno incorso la pubblica detestazione, e l'aborrimento universale non per altra ragione che per perdere ogni diritto, per essere spogliati d'onore, di dignità, d'autorità e di potenza, per ridursi veramente al nulla, e ciò all'unico oggetto ii godere un'aura momentaneamente di favore sterilissimo, giacché nessun di loro sin qui ha fatto la minima fortuna. 0 non bisogna essere pazzi da legare ? Ma verrà, spero, il giorno del disinganno, ma verrà solamente quando avranno rovinato sé e gli altri senza rimedio. Lettera all'abate Spina, che fu successivamente arcivescovo di Genova e cardinale, in data 15 aprile 1789, da Pisa. Cfr. M. BATTISTINI, Lettere di Giovan Maria Lampreda sugli avvenimenti di Toscana dal 1790, in Rivista degli archivi toscani, 1929, p. 51.
2) Non è certo il caso di soffermarsi qui sul contenuto della teologia giansenista in ordine al problema della grazia e del libero arbitrio, i cui termini principali sono del resto noti. Il tema dell'insufficienza della ragione umana e dell'assoluto abbandono dell'individuo alla grazia era ricorrente negli scritti dei giansenisti'. Scriveva per esempio Tamburini, nelle Lettere teótogico-palhidw (p. 201), polemizzando con la dottrina molinista: Ma ragiona altrimenti l'uomo istruito dai pastori Gin tinnii tati Egli riconosce in se stesso un