Rassegna storica del Risorgimento

ROMA ; MUSEI ; GIOVAGNOLI RAFFAELO
anno <1962>   pagina <682>
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Libri, e periodivi
Nel soffermarsi SU queste materie, il saggio di cui discorriamo non ri limita a sotto­lineare la coerenza delle vedute di Cavour o a ricercarne i rapporti con elomenti di una tradizione italiana e con approfondimenti del pensiero classico inglese. Esso giunge oppor­tunamente a rilevare certi limiti dì un liberismo e liberoscambismo cosiffatto rispetto a quegli sviluppi che l'economia mondiale ha mostrato di derivarne nella sua storia succes­siva. Che poi la divisione internazionale del lavoro intervenga per perpetuare e appro­fondire gli squilibri esistenti è un problema che Cavour non si pone osserva il Sirugo ? partecipa egli infatti dell'illusione liberistica sulla perequazione economica creata dall'eco­nomia di mercato , nò si può rendere conto, in quella fase, che se la politica liberistica potrà agevolare un certo sviluppo industriale, pagato dal saldo delle esportazioni, sarà difficile operare modifiche strutturali , e far fronte a una continua perdita di peso e di ritmo del Piemonte (e poi dell'Italia) rispetto ad altre economie imperniate sulla produ­zione manifatturiera (pp. LXHI-IV), prima fra tutte l'Inghilterra di Pitt il giovane, tutta rivolta all'impianto di un grande mercato internazionale fondato sulla specia­lizzazione e interdipendenza economica dei diversi paesi (p. LXvTE).
Di qui il saggio procede in una ricerca molto interessante sul ruolo politico, diplomati­co, commerciale, che venne assumendo dal Settecento in poi la Gran Bretagna: ruolo che ne avrebbe fatto in pari tempo il cosiddetto ago della bilancia nel concerto delle na­zioni ed anche, lo si volesse o no,il centro regolatore del mercato mondiale (p. LXXU). La ricerca è condotta seguendo sia la pubblicistica italiana, sia gli atti della polìtica inglese e di quelli di Francia e d'Austria di essa rivali, e soffermandosi infine sul posto che gli Stati di secondo ordine come il Piemonte potevano assumere agli occhi di Londra nel frenare le potenze protezionistiche come la Francia e nel diventare nuclei di mercati più larghi ed automaticamente presenti nel gioco del libero scambio. Piuttosto che una necessità di equilibrio, di derivazione settecentesca, sarebbe appunto l'esigenza di co­struire aree di mercato più estese e più libere a spingere l'Inghilterra a sostenere gli Stati minori e a sollecitarne le unioni interregionali: secondo Francesco Sirugo, il Pro­gramma mancliesleriano, VUnion du Midi, lo Zottverein, H Programma della Mitteleuropa, la Lega doganale italiana, H Piano VOTI Briick, con spinte volta a volta motivate, in momenti diversi, si muovono tutti nella medesima direzione, che è quella della strutturazione di grandi aree di mercato continentale in cui le grandi potenze e gli interessi della moderna produzione capitalistica possano trovare campo di applicarsi e potenziarsi senza cadere nell'orbita di potenze protezionistiche (p. LXXX).
Abbiamo qui potuto appena accennare a questo ordine di problemi, che è veramente centrale nel saggio del Sirugo, e alle dimostrazioni e sviluppi da cui è accompagnato. Nò possiamo addentrarci nella valutazione che viene data, in conseguenza, ai rapporti del Piemonte e dello stesso territorio Lombardo-Veneto con un'Austria in difficoltà nell'allar-gare un proprio mercato o nel tentar di ridare ossigeno alla propria economia. Ma se accettiamo l'osservazione che la direttrice storica di espansione territoriale dello Stato sabaudo [sia] destinata a saldarsi come un anello tra i più delicati e funzionali in quel sistema di Stati liberoscambisti che si sta costruendo in Europa (p. LXXXP7), molte interessanti conseguenze ed accostamenti se ne possono trarre.
Ci pare da rilevare, per esempio, come la dibattuta questione di quel che significhi, nel Risorgimento, il bisogno di creare un mercato nazionale , esca dal discorso pura­mente italiano (quando non addirittura schematicamente ideologico ), in cui di solito si trova confinato, e venga opportunamente collocata nel moto in atto verso una generale ridistribuzione dell'economia mondiale in base ad aggruppamenti interdipendenti ma diffe­renziati. Sotto tale luce e converrà qui citare un passo del Sirugo medesimo il mercato nazionale non appare più come una predeterminazione economica, geografica, etnica, culturale, verso cui come per un impulso naturale spingerebbe il corso storico...: una linea di sviluppo a spirale che nei progetti di unificazione veda lo definizione embrionale di un * programma nazionale* che in tal modo verrebbe a determinarsi e concretarsi, sembra anacronistica. Più attendibile è l'ipotesi che ì piccoli Stati italiani con i loro parti­colari interessi e il loro livello di sviluppo, nelle relazioni di mercato date, da cui si originano