Rassegna storica del Risorgimento

ROMA ; MUSEI ; GIOVAGNOLI RAFFAELO
anno <1962>   pagina <690>
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690 Libri e periodici
italiano, od assume sfumature ideologiche, psicologiche, parlamentari. In Disraeli tutte queste sfumatale si uniscono in. una dichiarata e coerente avversione. Anche l'eminente leader conservatore, nel suo atteggiamento, prende spunto dalla preoccupazione per I'equi-lihrio europeo presente vivamente anche nel Palraerston. Ma, mentre il nobile visconte reputava che quest'obiettivo, potesse più efficacemente conseguirsi limitando alle Alpi il dominio austriaco, e richiamando Vienna alla sua preminente funzione germanica e cen­tro-europea, Disraeli ne scorgeva piuttosto la realizzazione in una forte presenza austriaca in Italia, che ponesse un freno alle ambizioni espansionistiche francesi. In realtà, è proprio nella valutazione del ruolo da assegnare a Parigi nell'equilibrio europeo che le due linee politiche sostanzialmente divergono, l'una. avendo individuato nell'Impero bonapartista un fattore di dinamico movimento politico e di sostanziale conservazione sociale, da inse­rire fecondamente in una società capitalistica e commerciale in florida espansione sul piano mondiale, l'altra ferma alla valutazione di una Francia elemento potenzialmente sovvertitore dell'equilibrio, in grado di porre un'alternativa radicale a tutta l'Europa, e perciò bisognosa di un sistema di garanzie assai rigido, che ne limitasse al massimo la libertà di movimento. Disraeli è insomma fermo alla mentalità del Congresso di Vienna, ed i suoi sarcasmi sull'immaturità italiana, sulla frantumazione ormai immedicabile della penisola, riflettono le idee di una politica di gabinetto tramontata da gran tempo. Il grande dibattito sul trattato commerciale libcristico negoziato dal Cobden con la Francia è un pò la cartina di tornasole di questo atteggiamento e di questo stato d'animo. Tecni­camente fondatissimi appaiono i rilievi rivolti a Ciarlatone, cancelliere dello scacchiere e gran propugnatore del trattato, sui pericoli derivanti dal fatto di aver condizionato e subordinato ad esso, per un decennio, l'intera politica commerciale ed il bilancio dello Stato. Ma quest'assennatezza tecnica celava un'effettiva timidezza politica, la riluttanza a lasciarsi inserire in una collaborazione a lungo termine, la tendenza all'isolamento (nel che vi era anche una certa spiccata sensibilità riformistica e sociale, propria del Disraeli, lontana da quell'immobilismo che di recente il Borie rammentava a carico del Palmerston, e che viceversa Gladstone riuscì agilmente e fecondamente a far sua).
Torniamo all'Italia, Importanti sono le precisazioni che il Furiant ragiona intorno alla maggiore duttilità e moderazione delle opinioni di Malmesbury rispetto all'intransi­genza italofoba della maggioranza conservatrice e dei circoli di Corte. Si tratta comunque di una posizione pressoché isolata e non legata ad un grande prestigio personale del mi­nistro degli Esteri. Senza dubbio, anche la linea di Derby appare più sfumata nei con­fronti di quella del Disraeli. Derby era un tipico personaggio d'assemblea, un oratore forbito e sottile, assai più che non un capopartito: le sue critiche a certe incoerenze e titu­banze del gabinetto liberale risultano davvero pungentissime, ma la sua azione di governo non brilla a sua volta per fermezza e chiarezza. Il suo caposaldo di rigida e stretta neutra­lità è tutto avviluppato da una serie d'iniziative, di consigli, di suggerimenti, spesso non graditi ne richiesti, che denotavano più l'incertezza delministero che non il suo sincero desi­derio di pace. Neppure Derby può dirsi un austriacante coerente e risoluto: egli è piuttosto timoroso di ogni iniziativa espansionista che possa in qualsiasi modo alterare l'atmosfera precaria e diffidente creatasi intorno all'Austria in seguito al suo infido atteggiamento nel corso della guerra di Crimea. Appunto per questo, Derby analizza con molta severità, e non senza fondamento, i motivi puramente espansionistici, e tradizionalmente sabaudi, insiti nell'azione del Cavour, a cui egli nega carattere di liberazione per il resto d'Italia, senza che ciò esplicitamente suoni approvazione per la forma di governo austriaca.riè: tanto meno per il dominio viennese nella penìsola. Alla felicità dell'analisi non corrispon­deva però in Derby un'adeguata sicurezza nel delineare gli obiettivi del governo. Invano ai cercherebbe in Ini quella fermezza nel ricercare l'alleanza, o almeno l'intesa francese, che poteva essere elemento discutibile, ma lo era comunque in forma vistosa ed esplicita, nella politica di Palmerston,
Interessanti sono anche le osservazioni sparse che vediamo pullulare nel eorso dei dibattiti. Ecco ad esempio l'indipendente Seymer stigmatizzare la sostanziale sospensione delle libertà statutarie verificatasi in Piemonte in seguito all'eccezionale concentrazione