Rassegna storica del Risorgimento

ROMA ; MUSEI ; GIOVAGNOLI RAFFAELO
anno <1962>   pagina <696>
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Libri e periodici
peraltro, con salari di rame* la quale, con la pia macroscopica corruzione, sì rifaceva sulle tasche dei cittadini.
Lo condizioni dell'agricoltura meridionale, dal punto di vista economico e da Duello sociale, alla vigilia dell'unificazione sono note; e certo, per ammissione generale, si può escludere che fossero floride.
Da questo quadro fornitoci dalla storiografia più qualificata si può dedurre che la in­dividuazione delle responsabilità dello Stato unitario circa le carenze economico-sociali del Mezzogiorno, più decisamente denunciata nell'ultimo quindicennio, non può significare l'as­soluzione della monarchia borbonica. Motivo per cui non ci sembra storicamente valido il tentativo del Topa di spiegare il crollo del Regno delle Due Sicilie con la defezione di singole individualità responsabili, come ministri, generali, ammiragli, alti funzionari. A parte che nulla e ben poco egli aggiunge a quanto sapevamo in materia di rivelazioni , rimane il fatto che la fine della monarchia napoletana non può attribuirsi alla carenza di questo o di quel personaggio, o di nn gruppo di personaggi. Era tutto il complesso statale ad essere politicamente ed economicamente superato. E ciò non sgrava i due ultimi sovrani dalle pesanti loro responsabilità. Basti pensare alla politica estera seguita da entrambi: quella di Ferdinando II caratterizzata dal più ostinato isolamento reazionario e quella di Fran­cesco II, il seminarista vestito da generale , secondo la incisiva definizione del principe di Lampedusa, dalla totale mancanza di coraggio, di iniziativa, di tempismo. E sì che di occasioni a Francesco II ne furono offerte parecchie da Torino, da Parigi, da Londra, in quell'infuocato secondo semestre del '591
Infine l'aspetto militare della questione. U Topa attribuisce il successo garibaldino unicamente alla defezione della marina e dell'esercito borbonici, che, pur efficienti, abban­donarono il proprio Sovrano. Certo anche questa componente deve essere tenuta presente nell'analisi della spedizione dei Mille: in particolar modo la marina fu estremamente sollecita ad ammainare la bandiera gigliata; molto meno l'esercito che si battè bene nella ultima fase della campagna, al Volturno e a Gaeta, pur guidato da comandanti per nulla all'altezza della situazione. Ciò non significa, però, che l'esercito napoletano fosse il ma­gnifico arnese di guerra descritto dal Topa. Vale la pena di riportare per intero il giudizio che di esso dà il nostro maggiore storico militare, il Pieri, nella sua recentissima Storia militare del Risorgimento.
... di latto, specialmente dopo il 1849, la tendenza era stata di fare un esercito in prevalenza di professionisti, un esercito di polizia, una specie di grande rifugio per la massa dei disoccupati, dei fannulloni, degli spostati, che trovava un pane assicurato per se stesso e perla famiglia, dato che sottufficiali ed anche ufficiali inferiori erano spessissimo ammogliati. Sebbene l'esercito avesse molti battaglioni di cacciatori e in ogni battaglione di fanteria una compagnia di granatieri e una di cacciatori, sebbene la cavalleria fosse giustamente iu prevalenza di cavalleria leggera e l'artiglieria fosse pure di calibro minore e più mobile di quella piemontese, l'esercito aveva in realtà un addestramento soprattutto da piazza d'armi. Gli ufficiali erano in generale avanti negli anni e con famiglia, e cosi ì sottufficiali; la cultura e lo spirito militare degli ufficiali di fanteria erano scadenti: mi­gliori l'artiglieria e il genio, sebbene molti degli ufficiali più valenti fossero in esilio; la cavalleria in complesso buona, non aveva però avuto occasione negli ultimi decenni di consolidare hi bella fama del periodo napoleonico. Scarso l'affiatamento tra ufficiali e truppa, e fra i vari corpi. Questa organizzazione che si risolveva pressocchè in un grande ente di sussidio per hi disoccupazione, legava a so soprattutto un gran numero di soldati e di bassa forza. L'armamento era buono, ma ncU'in.icinc era molto deficiente l'organizza­zione dei superiori comandi, e un gran numero di generali era fra i sessanta e i settati l'anni. Nell'insieme quest'esercito, che aveva innegabilmente in so molti buoni elementi, avrebbe mostrato dei fattori di debolezza, di disorganizzazione e di deficienza di comando tali da sminuirne in modo notevolissimo l'efficienza . "
0 Cfr. PIERO PIERI, Storia militare del Risorgimento italiano, Torino, 1962, p. 658.