Rassegna storica del Risorgimento
ROMA ; MUSEI ; GIOVAGNOLI RAFFAELO
anno
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1962
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pagina
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706
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I primi crono quelli dio, insieme al Crispi, propugnavano la creazione di imo sbocco all'emigrazione italiana e credevano ohe vi fossero terre da coltivare, ma non avevano idee chiare in proposito, ignoravano le condizioni dell'Eritrea, e non si rendevano conto degli sforssi che la colonizzazione avrebbe richiesto non solo ai privati, ma anche allo Stato. I secondi non credevano che si potesse sperare di dirigere nella colonia l'emigrazione italiana, e quand'anche la terra fosse stata ferace, sarebbero mancate le strade, l'acqua, i ricoveri, e specialmente i capitoli. Non dimentichiamo ebe le condizioni economiche italiane in quel momento erano tutt'oltro che favorevoli ad imprese che avrebbero richiesto capitali, come lo dimostrava ad esempio il fallimento della Banca romana. I più pessimisti consideravano l'impresa eritrea viziata fin dall'origine e sostenevano che si dovesse liquidare senza indugio per non essere trascinati in tragiche avventare. Fra gli ottimisti e i pessimisti si inserivano quelli che, partendo dal dato di fatto che ormai in Eritrea c'eravamo, pensavano che Tunica cosa da fare era esaminare quale vantaggio se ne poteva trarre ossia studiare i mezzi di trarne il maggior profitto possibile, colla minor possibile somma di sacrificio per il nostro paese . E fra questi ero Michela.il quale riteneva che prima occorreva creare le necessarie strutture e quindi per il momento non era il caso di pensare ad una colonia di immigrazione, tun progetto che lo si potrà studiare pia tardi, e lo si dovrà studiare lentamente e con la massima freddezza; e quel giorno solamente il primo agricoltore sprovvisto di capitali dovrà por piede sulla costa d'Africa, in cui saremo assolutamente certi di ciò che gli possiamo offrire dal successo dell'impresa a cui gli si permette di accingersi. Oggi, non mi stanco di ripeterlo, ci vogliano cervelli e quattrini, non braccia . Occorreva in altre parole studiare le condizioni geologiche e climatiche dell'altipiano e le condizioni favorevoli o contrarie allo stabilimento di popolazioni europee, studio da compiersi da competenti.
Invece col decreto sull'ordinamento civile del 1 gennaio 1890 venne affidato al deputato Leopoldo Franchetti il compito della colonizzazione nell'altipiano eritreo. Il Franchetti era un ottimista ad oltranza, e già vedeva ottanta o centomila emigranti avviarsi verso la colonia italiana, ossia aveva una poetica visione delle possibilità che presentava la colonia ed era tutto preso dalla nobile poesia della sua missione, come disse Crispi- Il suo entusiasmo disinteressato era così grande che ha esercitato un forte fascino anche sull'A. il quale descrive tutta l'azione del Franchetti con grande simpatia. Il suo progetto era quello di trapiantare nelle colonie intere famiglie alle quali concedere in perpetuo dai venti ai quaranta ettari di terreno, e l'anticipazione da parte dello Stato di un piccolo capitale perii primo impianto, da rimborsare coi primi guadagni. Escludeva in modo assoluto ogni iniziativa capitalista, anche per il timore che si insediassero in Eritrea imprese straniere. Di parere opposto era Di Sangiuliano, un convinto colonialista, ma abituato a vedere le cose nella loro realtà, il quale sostenne la. necessità di favorire qualsiasi iniziativa, privata o capitalista. Dichiarava di inclinare a credere che la Colonia eritrea non si prestasse alla colonizzazione; in ogni modo riteneva errore il non voler fare l'esperimento ma farlo contemporaneamente in tutti i modi, lasciando che l'esperienza dimostrasse quelli preferibili.
La prima difficoltà che si presentò fu quella dei rapporti col Governatore. Questi, naturalmente, doveva informare tutta la sua condotta alle preoccupazioni politiche è militari, in territori ancora esposti agli attacchi esterni, e quindi la prima cosa do fare era di evitare il malcontento delle popolazioni, malcontento che poteva avere ripercussioni sulle tribù, di oltre confine. La posizione poi del Franchetti era molto ambigua: quale u deputato in missione speciale per la colonizzazione dell'Eritrea , dipendeva direttamente dal governo di Roma, ma quale reggente clcIFufficio coloniale per l'agricoltura e commercio, dipendeva dal Governatore. Quindi inevitobUmente per certe iniziative si riteneva indipendente dal Governatore, e ciò doveva portare a conflitti di competenza, poiché quest'ultimo aveva la responsabilità della sicurezza della colonia. Ognuno dei due porto i suoi lagni a Roma, dove è difficile trovare una conciliazione fra l'intransigenza del Franchetti e l'assoluta indipendenza dal Governatore che egli rivendicava, e le esigenze di quest'ultimo il quale fra Pulirò osservavo che la funzione governativa più importante,
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