Rassegna storica del Risorgimento

ROMA ; CAPELLO LUIGI ; MUSEI
anno <1963>   pagina <559>
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Libri e periodici 559
forma che una aberrazione degli spiriti e non abbia compreso che il Rinascimento, por non essendo un movimento religiosa, fu tutto pervaso, in contrasto con il conformismo medievale, da un senso nuovo del divino e da un anelito nU'infìnito.
Tuttavia (come già ho avvertito) più di una volta vide giusto. Mi basterà, di passaggio, ricordare che contro le affermazioni del Manzoni e del Trova sostenne che i Romani, al tempo dei Longobardi, rimasero lìberi con diritto alla libertà personale e non furono aggregati alla cittadinanza longobarda: ciò che fu ulteriormente confermato dagli studi del Crivcllucci, del Salvioli, del Besta, del Solmi; e, ancora, che, a dif­ferenza del Trova, fu tenace assertore della germanità dei Goti, cioè di quella nazione che i Romani chiamarono primamente Goti e poi Germani e noi chiamiamo Tedeschi; opinione espressa di poi dal Vater e dal Grimm. Ed un altro merito gli va dato: di non aver solo, nel Sommario, a mo* dei suoi contemporanei, accennato e diviso i fatti italiani da sé , ma di averli di volta in volta collegati con i fatti stranieri e di essersi soffermato per ogni età, e spesso diffusamente, sulla circolazione delle idee si da mettere nella dovuta evidenza non solo epici che noi apprendemmo dagli altri, ma quello, e molto più, che gli altri appresero da noi. Ma gli occhi suoi furono rivolti parti­colarmente alle vicende della Francia e dell'Inghilterra; e il fatto si spiega se si pensa che in esse egli trovava attuato quel sistema politico costituzionale che fu la mira costante delle sue aspirazioni. Poiché egli credeva fermamente (e non mutò mai al proposito il suo atteggiamento) che l'Italia non fosse ancor matura per l'unità e che anzitutto dovevasi conquistare, ad ogni costo, l'indipendenza dall'Austria (fu il suo chiodo fisso fino alla morte) e con la guerra, cui tutti gli Italiani avrebbero dovuto concordemente parteci­pare, meglio se con l'aiuto di qualche potenza straniera o per qualche favorevole avveni­mento di ordine internazionale, poiché da soli gli Italiani molto probabilmente non sa­rebbero riusciti a vincere l'agguerrito nemico (e in ciò fu profeta). E, Uberata la penisola, ogni Stato si sarebbe governato da sé, ma in forma confederativa; e ogni principe con le necessarie riforme graduali, ma sagge, avrebbe man mano dato al proprio Stato una forma rappresentativa sì che anche il popolo assieme con la nobiltà più illuminata potesse partecipare in collaborazione al governo, senza però che fosse mai menomata per nessun motivo l'autorità del Capo. Ma tutto assolutamente doveva svolgersi senza agitazioni di sorta, senza violenze, senza rivoluzioni, perchè le fazioni e le sètte vigoreggiano nel clima dell'assolutismo, mentre nello Stato costituzionale vivono le parti politiche legit­time, legali, virtuose e talora utili allo Stato .
Ma le pagine, sinora per Io più trascurate dalla critica, che meglio rivelano la nobiltà, la serenità, l'equilibrio dell'animo balbiano son quelle dedicate nell'Appendice a Carlo Alberto dal 31 al 48: al e Suo Re , per cui egli nutrì, lui vivo, un'illimitata devozione, e di cui conservò, dopo la sua morte, un ricordo pertinace. Ma l'ampio ritratto che ne traccia non ha nulla di agiografico; anzi è condotto, anche perchè egli lo conobbe assai da vicino, a differenza dei soliti contributi poggianti su documenti più o meno veritieri, con sicura ade­renza ai fatti e spesso con sottile analisi psicologica sì da risolvere in buona parte, se non compiutamente, l'innegabile contradditorietà della persona del Re. La quale non fu punto, fondamentalmente, né equivoca né ambigua, secondo la tesi alquanto intemperante, ma tuttavia non ancora del tutto superata dagli studiosi, del sempre compianto Omodeo. In apparenza Carlo Alberto fu freddo, austero, senza abbandoni, ma il penoso dissidio da cui fu roso senza posa (dissidio che di già acutamente fu avvertito dal Salvatorelli nel suo rapido ma suggestivo profilo del 1949) e che turbava i suoi sogni d'ambizione e di gloria, consistette in nna natia penosa incessante incertezza e perplessità di fronte ad ogni atto, ad ogni decisione di una certo portata negli affari di Stato. Ardore e spirito e animo liberali egli ebbe primitivamente , e ne dette prova nel '21; ed eran assoluta-mente sinceri, a detta del Balbo, che nessuna finzione scopri in lui; né ad essi venne mai meno nell'intimo del onore. Ma, dal '31 al '33, ohe furon gli anni più abbominevoli del suo regno , egli, purtroppo, incapace di audaci reazioni, non fu, secondo il Balbo, padrone di sé. Le sue buone intenzioni furono pervertite non dall'aristocrazia in senso lato, come affermano alcuni storici, ma dalla Corte, dai servitori, dagli impiegati, dai poliziotti