Rassegna storica del Risorgimento
ROMA ; CAPELLO LUIGI ; MUSEI
anno
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1963
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pagina
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575
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Libri e periodici 575
questo punto mi pare che la D'Amelio avrebbe potuto sviluppare un certo discorso di cui si sente nel libro la mancanza; la ricerca infatti, por ricca di spunti e piasi completa nella documentazione, si tronca nel momento in cui era necessario forse un giudizio più omo* gcneo e approfondito su quello che può considerarsi il decennio decisivo della costruzione dello Stato unitario italiano. Lucio VELLABI
LUIGI IZZO, La finantta italiana nel pròno decennio deWUnità italiana (L'organizzazione dello Stato, 9); Milano, Giufixè, 1962, in 8, pp. X-5S2. L. 4.000.
Nelle tormentose vicende della finanza pubblica italiana, dalla proclamazione del Regno fino all'anno in cui fu finalmente debellato il cronico disavanzo, gli storici riconoscono il banco di prova dell'unità nazionale, il problema nazionale per eccellenza (Cha-bod) dalla cui risoluzione dipendeva Tessere stesso della nazione. Per raggiungere l'equilibrio del bilancio statale la classe dirigente moderata combatté una guerra dalla quale usci vittoriosa ma completamente estenuata; una guerra che talvolta era la manifestazione di contrasti politici e ideologici che sorgevano all'interno stesso del gruppo moderato, poiché era presente in molti la consapevolezza che risultati apprezzabili sulla via del raggiungimento del pareggio finanziario potessero essere raggiunti solo con più radicali riforme di mezzi e metodi la cui utilizzazione non rientrava invece nei programmi della Destra storica. E l'avvicendarsi nel decennio 18611870, al dicastero delle finanze di ben undici ministri, testimonia delle enormi difficoltà in cui l'Italia si dibatteva, e insieme delle perplessità e dei timori deidirigenti moderati nell'imboccarc in modo deciso una strada nuova riducendo al minimo la politica dei tentativi e degli assaggi che, generalmente, si ripercuotevano negativamente sul fragile organismo della finanza pubblica. Ma anche di ciò alcuni avevano coscienza e tra questi, soprattutto, Quintino Sella, la cui struttura intellettuale e le coi notevoli capacità tecniche contrastavano con l'empirismo politico degli altri suoi colleghi e con lo sperimentalismo delle iniziative interrotte a mezzo e delle conclusioni provvisorie. Tornato, nel 1870, per la terza volta al ministero delle finanze, il Sella senta di dovere modificare in modo radicale gli indirizzi fino allora seguiti; era più che mai presente in lui la gravità dell'ora: Io vi prego a perdonare, o signori, affermava nell'esposizione finanziaria fatta alla Camera il 10 marzo se vi parlo come sento proprio nel profondo dell'animo! Non posso essere diverso da quello che sono, e cerco di trasfondere in voi quel profondo convincimento che è in me sopra questo capitale argomento che interessa tanto la nazione. Vi ho da dir proprio chiaramente quello che penso? Mi pare, scusate l'espressione, mi pare che ci faccia cadere nel ridicolo. Noi facciamo la figura di gente che non è capace di prendere la risoluzione che deve essere presa per uscire una volta da questo imbarazzo. Vogliamo correre perpetuamente, asintoticamente, direbbero i matematici, verso questa linea di pareggio senza raggiungerla mai? Vogliamo affaticarci ad accrescere entrate, a diminuire spese e ciò sempre invano? Vogliamo continuare ad avere un disavanzo notevole, a trovarci sempre in cattive condizioni di credito? [....] Prendiamo una buona volta virilmente il partito che deve essere preso, se vogliamo uscire dall'attuale situazione [....]. Se siamo d'accordo in questo concetto che si debba provvedere e provvedere quanto basta, perché se si fa solo a metà non si riesce mai in nulla, mi pare che potremo intenderci nel resto . E ben presto il Sella dimostrò come le sue preoccupazioni non fossero solo d'ordine morale ma provenissero da una esatta conoscenza tecnica degli ingranaggi finanziari al cui snellimento attese nei mesi e anni seguenti; pensiamo solo, per esemplificare, all'unificazione dei sette diversi sistemi di riscossione delle imposte, compiuta tra il '72 e il '73, e a una innumerevole serie di riforme a cui, certamente, va in gran parte ascritto il pareggio raggiunto nel 1876. È fuor di dubbio, tuttavia, che della disastrosa situazione finanziaria del nuovo regno non può farsi, isolatamente, colpa ai vari governi liberali (anche se, ripetiamo, riforme tecniche più coraggiose avrebbero alleggerito la forte pressione del disavanzo), poiché il meccanismo della finanza pubblica non e una categoria che si sovrappone alla vita economica del Paese; ne è piuttosto la manifestazione più concreta, statisticamente quanto politicamente.