Rassegna storica del Risorgimento

ROMA ; CAPELLO LUIGI ; MUSEI
anno <1963>   pagina <578>
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578 Libri e periodici
più di un lavoro altamente meritorio. EngelJanosi ha aggiunto un'altra perla alla corona di opere, con citi ha contribuito potentemente alla conoscenza della storia del secolo XIX e in modo speciale a quella dei rapporti intercorsi fra l'Austria e l'Italia. Non ha detto, egli confessa, nulla di definitivo: gli archìvi vaticani, quando saranno aperti, consentiranno di vedere i problemi più a fondo; ma è stato preparato un lavoro immenso, condotto da uno storico maturato in una scuola, che conta fra le sue glorie il grande Heinrich von Srbìk, di cui Engel-Janosi è oggi degno continuatore.
Vediamo in breve la materia dei quattordici-capitoli. Nel primo siamo al conclave del 1903, nel quale l'Austria corse il pericolo di veder salire sul trono di San Pietro il Rampolla, che, da segretario di Stato di Leone XIII, aveva dato segni, anche troppo palesi, di simpatie verso la Francia e di qualche ostilità verso la monarchia danubiana. In questo senso si erano già espressi il Revertera prima, facendo il quadro dei cwdinqH nel 1889, e il Szécsen poi (p. 23). Alla vigilia del 20 luglio l'Austria non aveva quindi molte prospettive di trionfare, nell'imminente conclave, con un candidato che sostenesse la sua politica. Di qui l'incarico all'arcivescovo di Cracovia, Puzyna, di usare, in extremis del veto . Fu così, e tutti lo sanno, che la candidatura Rampolla cadde. Papa Sarto che era stato per 32 anni suddito fedele dell'Austria, prometteva almeno di voler rimanere in pace con il governo di Vienna (p. 45). Così fu infatti (cap. II), malgrado la nomina del giovane cardinale Merry del Val a segretario di Stato e le polemiche, che seguirono in relazione all'uso e al diritto del veto nel conclave. In Austria stessa, il partito conser­vatore, come non manca di osservare acutamente il Nostro, giudicava quell'indébito intervento del governo come un'offesa alla coscienza dei cattolici della monarchia. Le attenuanti avanzate dai responsabili per mostrare che, in fondo, l'espressione del veto era solo quella di un desiderio, non convincevano nessuno. I fatti più recenti avevano di­mostrato il contrario. La costituzione papale Commissum nobis del gennaio 1904 e le severe sanzioni minacciate (p. 52) non giunsero, quindi, inattese e non offesero nessuno. Nel capitolo terzo l'Autore esamina quattro casi, nei quali la curia di Roma e il go­verno di Vienna dovettero mettere a non facile prova i loro rapporti. Il primo fu pro­vocato dal principe arcivescovo di Olmùtz, Teodoro Kohn, figlio di piccoli contadini e nipote di un ebreo. Fin dai primi mesi dopo la nomina a capo di queìl'orcìdiocesi (1892) il Kohn, che passava per un ottimo amministratore, venne a conflitto aperto con tutte le categorie di fedeli per il suo carattere autoritario e per il suo fare intransigente specie in questioni scolastiche. Alla fine Vienna dovette intervenire con un promemoria presso il Rampolla, che fece nominare una commissione cardinalizia ad hoc (p. 70), Il 4 marzo 1904, la Presse di Vienna annunciava ai suoi lettori che mons. Kohn si era dimesso dalla carica fino allora occupata. Il secondo caso riguarda la nomina a cardinale dell'ungherese Samassa, arcivescovo di Brian, avvenuta soltanto nel concistoro del dicembre 1904, perchè, malgrado l'insistenza del governo austriaco, Leone XIII non aveva mai voluto perdonare a quel prelato di aver difeso, molti anni prima in un pubblico discorso, il diritto di veto (p. 85). Ma molto più difficile fu l'incidente provocato dal prof. Luigi Wahrmund, ordina­rio di diritto ecclesiastico a Innsbrncfc, il quale aveva preso apertamente posizione tanto dalla cattedra quanto con gli scritti per le correnti moderniste. Nel 1908 si giunse quasi alla rottura dei rapporti fra Roma e Vienna, benché il ministro Aehrenthal fosse d'ac­cordo con il desiderio espresso dalla caria romana d'allontanare il pericoloso professore, le cui espressioni e idee rasentavano spesso l'eresia. L'incidente era stato maggiormente complicato da un'intervista del nunzio Belmonte, con cui esso era uscito dall'apparente limite di una questione interna della monarchia assumendo carattere e portata più vasti. Alla fine un accordo segreto fra Wàhrmund e il suo governo, con la rinuncia dello scien­ziato ad assumere altre posizioni di principio contrarie a Roma, pose fine alla questione sulla quale Pio X, di solito abbastanza conciliante, si era attaccato con intransigenza particolarmente pericolosa, essendo nel 1908 già denso le nubi nell'orizzonte politico del* l'Europa. E ciò non monca di osservare acutamente il Nostro nello sforzo costante di non perdere di mira SI quadro più vasto della politica generale, mentre sembra concentrato a meditare sulle vicende intercorse fra Vienna e la curia romana.