Rassegna storica del Risorgimento

AZEGLIO TAPPARELLI D' (FAMIGLIA); BIBLIOTECA CIVICA DI SAVIGLIA
anno <1964>   pagina <100>
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100 Libri e periodici
storica di nuovo e d'antico, di classico e di popolare, di tradizione e di rivoluzione
(p. xxvm).
È stato obbiettato al Treves (S. Timpanaro, in Critica Storica, II, 1963, 5, p. 606) dì aver artificiosamente allargato i confini del neoguelfismo, fino a comprendervi il Van-nncci, violento aniàclericale e democratico avanzato . Tuttavia, crediamo che il Treves abbia avuto, invece, ben chiaro il limite del movimento culturale neoguelfo, quando attri­buisce (p. XXXIIT) alla mancata o all'insufficiente penetrazione di questo movimento la responsabilità dello iato verificatosi in Italia, attorno agli anni sessanta, tra le generazioni del Risorgimento e le successive. Insufficiente penetrazione nella cultura italiana, afferma il Treves, dovuta alla poca sensibilità dei neoguelfi verso il mondo ellenico e all'indiffe­renza, anzi alla incomprensione della lezione del Mommsen. Per quanto, poi, riguarda il Vannucci, vorremmo sottolineare ancora una volta che il Treves non considera il neo­guelfismo nel suo aspetto politico, ma nel suo contenuto e nel suo messaggio culturale; gli atteggiamenti neoghibellini dell'autore della Stona dell'Italia antica appaiono ben rile­vati dal Treves (specie a pp. 727 e 729), quando, al di là delle tirate fanaticamente ghi­belline, della Storia e dei Proverbi latini, vede nel letterato e nell'umanista un e fedele-infedele neoguelfo .
Dalla storia alla filologia e dalla filologia alla storia è l'intestazione scelta dal Treves per la quinta ed ultima parte della sua silloge. Con questa efficace formula il nostro Autore ha voluto riassumere e rappresentare la conclusione del cielo ideale degli studi storici del nostro Ottocento, i quali, dopo la storiografia di E. Pais, demolita dal Treves come l'esempio di un massiccio pirronismo , di una correlativa negazione della possi­bilità di scrivere storia: quando i documenti non ci sono, perchè non ci sono; e quando i documenti ci sono, perchè ci sono (p. 1159), culminarono nell'impegnata opera di G. De Sanctis. L'illustre storico romano, nota il Treves, vide negli ideali del Risorgimento un impegno imprescindibile per una storiografia rivolta ad una piena ed attuale intelligenza dell'antico; pertanto, in De Sanctis centocinquant'anni di storia e di storiografia classica italiana, dagli àlbori del Risorgimento alla dissoluzione dello Stato sabaudo, centocin­quant'anni di esegesi dell'antico... si assumono e durano in lui (p. 1226). Difatti, Gaetano De Sanctis fu, tra gli storici antichi dell'ultimo cinquantennio, quello che maggiormente senti vicini ed attuali gli ideali risorgimentali. La storia del Risorgimento era per lui, secondo le efficaci parole di A. M. Ghisalberti (Rassegna storica del Risorgimento, 1957, p, IX) più delle altre da interpretare come la storia della libertà .
Riguardo al primo libro del Treves (L'idea di Roma, cit.), è stato recentemente os­servato da A. Momigliano (Nuova Rivista storica, 1963, II, p. 399), come non sia facile individuarne la tesi. Senza addentrarci in problemi di storia della filologia, tuttavia vor­remmo notare che, a nostro parere, la tesi del Treves, cui annettere maggiore importanza, in sede di una complessiva valutazione dei suoi due libri, è quella di dimostrare, tentativo a nostro avviso pienamente riuscito ed efficacemente documentato, il superamento della contrapposizione sterile e scolastica tra una cultura romantica ed anti-romana. ansiosa di rinnovamento e partecipe al moto risorgimentale, ed una cultura classica che ostinata­mente si opponeva ad esso con gli occhi rivolti verso l'universale e supernazionale passato di Roma. Piero Treves, invece, ha voluto porre in primo piano nel suo lavoro il problema ed il carattere d'ambivalenza del classicismo, comune fattore, nelle sue versioni tacitiane o cesariane, sia del pensiero politico del Risorgimento, con tutte le sue tendenze e sfuma­ture, sìa di quello dei reazionario-conservatori vaticancschi ed austriacanti.
Di notevole interesse ci sembrano le osservazioni del Timpanaro, nella già citata recensione, sulla silloge del Treves. Da parto dell'Autore de La filologia di G. Leopardi, non ci si poteva non aspettare una reaziono ed una presa di posizione contro l'nntilcopar-dismo del Treves. Pertanto, il Timpanaro rimprovera al Treves di aver tenuto in troppo conto, nella valutazione della filologìa leopardiana, quel famigerato saggio di Croce su cui anche t crociani di strotta osservanza preferiscono invece sorvolare (p. 610), e di non aver affatto considerato, d'altro conto, i contributi del Leopardi nel campo della filo­logia ellenistica e nella polemica ani frammenti di Dionigi.