Rassegna storica del Risorgimento

BUFFA DOMENICO CARTE
anno <1964>   pagina <568>
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Libri e periodici
l'accentramento obbligatorio della lavorazione in città, mentre da parte dei cittadini prò* prietori di torre si insisteva ancora sulla liberti di mercato, mentre l'autorità centrale, almeno nelle intenzioni, si. schierava dalla parte di lavoratori poveri. Il lontano risultato di questo lungo e complicato conflitto sarebbe, secondo 1 SVI., uno spostamento di interessi economici dalla città alla campagna, la trasformazione di grappi di artigiani e commercianti in possidenti terrieri, sull'esempio della nobiltà, e, di conseguenza, attesa la potenza poli­tica dei nobili possidenti, un'attenuazione del predominio della città, nei limiti in cui gli interessi degli strati sociali agricoli coincidevano con anelli della nobiltà possidente . Il fe­nomeno è caratteristico e, secondo noi, non ba riscontro nelle altro regioni dello Stato, dove, viceversa, la soggezione dei castelli alla città permane durissima fino alla rivoluzione. Il secondo saggio sa La crisi economica e sociale nel 1796 , che aveva già visto la luce nel 1953 negli Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Ro­magna, è nato dall'esigenza di vagliare i risultati della ricerca del Tarlo sull'economia dell'Italia napoleonica, essenzialmente basata sull'Archivio di Stato di Milano, con una analisi locale. Il M. caratterizza l'importanza nella struttura economica bolognese dei numerosi monopoli, o privative , esercitati dai loro titolari sulla città e la campagna in modo spietato, con la volontà di profittare di una legislazione economica antiquata e con il desiderio di conservarla tale e quale, mentre lo Stato vuole rompere tale situazione nell'interesse proprio e in quello del popolo minuto. Contro i piani di riforma di Pio TI il Senato Bolognese finisce per capeggiare hi resistenza dei privilegiati grandi e piccoli, nella speranza che il moto riformatore si esaurisca spontaneamente. Quando, poi, si pro­fila sull'economia bolognese l'avvicinarsi della grandinata francese i nobili si preoccu­peranno soprattutto di poter sopravvivere, sia prevenendo a tempo il sistema delle contri­buzioni, cercando di farle ricadere sul clero e sui beni ecclesiastici, sìa mimetizzandosi con la borghesia, comportandosi cioè come un ceto borghese, accettandone i sistemi di vita e le attività economiche, ma non rinunciando al predominio politico. All'atto pratico la rovina, fu assai più grave di quella che si attendeva, poiché le pretese dei Francesi andarono ben oltre i mezzi accantonati e le ricchezze ecclesiastiche, mentre le ripercussioni sul­l'artigianato e sull'industria, mancanti di capitali, portarono alle serrate e alla disoccupa­zione e, conseguentemente, alla maggiore pressione sociale e polìtica del proletariato. Né l'assimilazione alla borghesia della nobiltà valse a salvarla dalla spoliazione e, in molti casi dall'estrema rovina, poiché si aggravò su di essa più pesantemente la mano dei Fran­cesi e della municipalità, sicché si trovò nella necessità di vendere per improntare in pochi giorni il denaro liquido necessario a pagare le contribuzioni e i prestiti forzosi. H M. se­gnala come caratteristica di questa crisi il prevalere degli agiottisti, L quali con l'arrivo dei Francesi poterono accrescere le loro speculazioni o le loro manovre monetarie.
Nel terzo saggio, che vide anch'esso la luce nel volume V (1953-54) degli Atti e me* morie della citata Deputazione, l'indagine è estesa al periodo 17971800, con particolare riguardo alla vendita dei beni ecclesiastici. Di questa il M. da un giudizio economicamente positivo, nel senso che, non ostante le speculazioni alle quali diede occasione e non ostante il sistema delle aste e dei ruoli obbligatori degli acquirenti, pure operò una redistribuzione salutare della proprietà immobiliare e terriera e contribuì al rinnovamento della classe possidente. La ricerca riguarda essenzialmente un pruno blocco di 31 conventi (su circa 270 soppressi tra il 1797 e il 1799) per un valore complessivo netto di oltre 7 milioni o mezzo di lire bolognesi e per un'estensione pari al 3,32 per cento della superficie di pianura coltivabile a grano e a canapa dell'intera provincia bolognese. Il M. ci dà in appendice un elenco di 695 acquirenti nel quale figurano (accanto ai non identificabili) nobili, sacerdoti e borghesi e, naturalmente, noti speculatori e agiottisti. H M. sottolinea il fatto che l'appo­sita deputazione istituita dagli Austriaci alla fine del 1799, non procedette con troppo rigore verso chi aveva acquistato i beni nazionali e furono rari i casi di annullamento dei contratti di acquisto per lesiono grave e mala fede, méntre essa immise nell'effettivo possesso quei compratori, che avendo già adempiuto olio formalità contrattuali e al pagamento delle quote stabilite, non l'avevano potuto ottonerò per il rovesciamento della situazione politica.