Rassegna storica del Risorgimento

BUFFA DOMENICO CARTE
anno <1964>   pagina <578>
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Libri e periodici
ponitore rimasero solo lo popolazioni di Gorizia, di Cornioli, di Bruzznuo e di Gradisco* le quali collaborarono attivamente con le autorità legittime). Ma assai Bearsi furono co­munque i risultati della sua incessante propaganda uè egli riuscì ed ottenere dal Radetzky nemmeno il consentimeli to di trattare con l'avversario sullo scottante tema dello scambio degli ostaggi; anzi, recatosi, per ordine del governo viennese, a Verona per un diretto colloquio con lui, questi si rifiutò di riceverlo. Albi metà di maggio, poiché era ormai fallito ogni esperimento di pacificazione, le battaglie di Pastrengo e di Santa Lucia gli avevan forse fatto nascere il dubbio dell'esito felice, per l'Austria, del conflitto; e fu allora che si convinse della necessità per Vienna, per non aver la peggio e anche per evitare un inter­vento europeo (si sa, tra l'altro, che in quei giorni erano di nuovo in fermento le popola­zioni della monarchia, insoddisfatte dell'uniformità della concessa costituzione) di con­cludere prestamente un armistizio con Carlo Alberto, sia pure con qualche sacrificio terri­toriale, ovvero di cercar di ottenere per via diplomatica l'aiuto dell'Inghilterra per la so­luzione della conteso. Il governo di Vienna, che nel frattempo era passato dalle mani dal Ficqnclmont, dimissionario, per l'insuccesso del suo operato, a quelle del barone Pillcrsdrof, già ministro dell'interno nel precedente gabinetto, approvò la prima, ma non la seconda proposta del commissario imperiale, e debberò d'inviare immediatamente in missione ufficiale presso Palmerston il consigliere aulico Hummelauer, ma non autorizzandolo, come si legge in più testi nostri, a trattare sulla base della rinuncia alla Lombardia e con­tro il versamento di una forte somma di danaro, ma con un progetto, preparato alla lesta, di un'amministrazione, nel milanese, e anche nei ducati, separata e nazionale, peraltro presieduta da un viceré austriaco. E, nell'attesa dell'esito, credette opportuno mandare a Milano il consigliere di delegazione in Svizzera Eugenio Philippsbcrg per tentare di ac­cordarsi con il Casati per Io scambio degli ostaggi facendogli nel contempo nuove pro­poste, ma assai vaghe, (sia ben inteso) di pacificazione. Il delegato non solo non ottenne nulla, ma per avventura (ed è cosa ben strano, meritevole almeno di un cenno), uscito dal palazzo del governo provvisorio dopo il suo incontro con il presidente, per e titoli di formalità fu arrestato e solo il 13 luglio fa lasciato Ubero. Il 15 giugno, aderendo alle pressanti insistenze dell'Hartig e poiché a Vienna la situazione si andava vieppiù aggra­vando (l'Imperatore imbelle dal 17 maggio si era paurosamente rifugiato ad Innsbruck) e la missione Hummelauer si era conclusa essa pure con un nulla di fatto, sebbene a ma­lincuore e con la disapprovazione dei moderati e del partito militare, favorevole alla con­tinuazione ad oltranza delle ostilità, il Pillersdrof inviò un nuovo delegato a Milano, assai più capace del povero Philippsberg, onde informasse il Casati, che a sua volta ne doveva dar notizia al Re di Sardegna, dell'intendimento dell'Austria di rinunciare alla Lombardia, ma non al Veneto, e contemporaneamente impartiva l'ordine perentorio al maresciallo di concludere senza indugio l'armistizio. Anche codesto passo fu del tutto vano. Carlo Alberto fu dapprima alquanto perplesso; ma si sentiva ormai legato strettamente al pro­clama emanato da Lodi il 31 marzo e rivolto esplicitamente agli Italiani della Lombardia, di Piacenza, di Reggio e della Venezia (quest'ultima si andava di giorno in giorno mag­giormente orientando vèrso una politica filopiemontese) e il venir meno alla promessa non si addiceva punto olla sua natura, chiusa e solinga, ma fortemente onesta. Il Casati, molto più francamente, rifiutò senza indugi ogni proposta di pace, poiché non solo egli desiderava con ardore il libero reggimento, con l'unione al Piemonte, della Lombardia e del Veneto, ma addirittura che ì confini'fossero portati sino al Brennero, sia pure con la rinunzia a Trieste e, forse, anche al Friuli. Il Radetzky, d'altra parte, sdegnò aspramente, secondo la sua indole, (ma alle sue ribellioni ai comandi del suo governo, non si dimentichi, l'Austria dovette allora la salvezza 1) di aver rapporti diretti con Carlo Alberto, anche perché egli era d'avviso che nulla gli si dovesse concedere del dominio austriaco in Italia quale era stato fissato dai patti del 1815; anzi chiese nuovi rinforzi per farla finita (son sue espressioni) una buona volta con l'odiato nemico: talché, ai primi del luglio, sospese lo mediazioni per l'avvenuta fusione della Lombardia, (non è punto vero che Vienna fosse