Rassegna storica del Risorgimento

BUFFA DOMENICO CARTE
anno <1964>   pagina <579>
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Libri e periodici S70
disposta n tratiare anche sulla baso dell'imiipendenza del Veneto) fgli si affrettò a no elargii più tregua: battutolo a Sona, a Sanimacainpgnu, 4L Gusto za, a Volta, (son cose note) in pochi giorni lo costrinse- alla resa.
L'armistizio stipulato dai generale Salasca a Vìgevano il 9 agosto (il testo è ora universalmente conosciuto) prescriveva all'articolo 5 che entro sei settimane si doveva dar corso ai negoziali di pace. Ma i I 13 settembre, anche per dirimerò alcuni gravi con' i rasti che ancor permanevano tra i belligeranti (ad esempio, l'evacuazione delle truppe sorde dai ducati), i plenipotenziari di Londra e di Parigi proposero (e la proposta fu ac­cettata) che l'armistizio venisse prolungato di un mese: Esso invero fu tacitamente rin­novato oltre il termine stabilito, poiché nel frattempo la Francia e l'Inghilterra avevano presa l'iniziativa di una mediazione (vi aderì anche la Prussia) che mirava a far cessare il conflitto facendo per altro valere il principio della nazionalità. Non mi è possibile qui tracciare, sia pure brevemente, le fasi dell'iniziativa: mi basterà far presente che essa si. prolungò a lungo senza raggiungere alcun risultato positivo, soprattutto perchè l'Austria, nicchiò sempre, intenzionata sin dall'inizio di non cedere al Piemonte neanche una briciola di terreno. Fa interrotta ai primi d'ottobre dopo la nuova rivolta viennese e la nuova fuga della corte in un più sicuro rifugio, ad Olrumz in Moravia, ove, nel novembre al settan­tacinquenne barone Wessenherg succedeva a capo del gabinetto l'energico principe Felice di Schwaxzenberg, ma altezzoso e duro, profondamente avverso all'Italia, il quale pre­dispose in breve tempo l'abdicazione dell'Imperatore Ferdinando, la rinuncia al trono di Francesco Carlo e la successione del nipote quasi imberbe Francesco Giuseppe, sotto la cui guida si ritornò agli antichi atteggiamenti conservatori, talché la mediazione che do­veva riunirsi a Bruxelles nel gennaio del *49 con la presenza stavolta anche dei plenipo­tenziari di Parma, Modena e Firenze (il Piemonte sarebbe stato rappresentato dal senatore Maestri) per volere del giovine sovrano andò in fumo.
In Piemonte la sospensione dello ostilità era stata gradita ai moderati e particolar­mente agli alti ufficiali dell'esercito, ma aveva messo in orgasmo lo correnti democratiche, capeggiate dal Brofferio, che alla Camera avevan provocato frequenti tumulti incitando a riprendere la guerra per salvare l'onore del paese, mentre Carlo Alberto se ne stava in disparte, triste e taciturno; però, mutato il gioco politico, molti deputati dei vari partiti (vi influì anche la caduta del ministero Gioberti) compresero che ormai era inderogabile per la dignità del Piemonte la ripresa della lotta (erano incoraggiati pure dagli emigrati e dalle assicurazioni del concorso dei patrioti lombardi e veneti); e cosi il 12 marzo, a mez­zodì, fu denunciata la cessazione dell'armistizio e due giorni dopo il Rattazzi, che era divenuto il più autorevole rappresentante del nuovo ministero Chiodo, ne diede l'annunzio' alla Camera, cui risposero grida entusiastiche, provenienti anche dalle tribune affollate, di viva il Re . Nella stessa seduta fu approvata con 77 voti contro i 37 no dell'Estrema democratica la sospensione per tutta la durata della guerra di tutte lo libertà statutarie, comprese le libertà di stampa e di riunione. Carlo Alberto, rasserenato, indirizzò alla na­zione un proclama, in cui rilevò le circostanze che lo avevan persuaso a dover nuova­mente impugnare la spada, e cioè l'occupazione politica e militare dei ducati, il blocco di terra e di mare di Venezia, la mancata protezione alle persone e alle proprietà nei luoghi sgombrati dall'esercito regio. Anche il Radetzky emanò un proclama, il 17 marzo, agli abitanti del Lombardo-Veneto, ma pieno di parole minacciose: Voi vedeste la mia mo­derazione nella vittoria, ma non mi costringete a mostrarvi hi mia forza. Rapida come folgore piomberà la punizione su ogni provincia, ogni citta, ogni comune che osasse recar molestia alle spalle della mia armata. Cinque giorni dopo entrava a Vigevano e a Mortara e il 23 sconfiggeva l'esercito sardo, che si era difeso, al, con coraggio, ma difettava di organizzazione, d'armamento, di doti disciplinari e morali dei comandi e, per giunta* era diretto da un generale, non piemontese, ma polacco, vecchio, piccolo, dalla voce sot­tile e del tutto ignaro della lingua nostra. Il 26 marzo a Vignale si svolse il colloquio tra Vittorio Emanuele, il nuovo re di Sardegna, e il Radetzky, improntato, contrariamente