Rassegna storica del Risorgimento
CLERO BASILICATA 1851-1860
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1965
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Saverio La Sorsa
masserìe, mucchi di calce, ferranenti e travi, ampolle messe a casaccio sugli altari, pareti scouce o chiazzate, terreno umidiccio .
Pochi templi erano in condizioni migliori, nessuno era splendido, come si doveva aspettare da un clero non povero, se non fosse stato incosciente, avaro ed egoista. I mezzi non mancavano, ma erano destinati a scopi tutt'altro che religiosi,
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D'altronde bisogna considerare che non tutto il clero era in condizioni agiate, perchè la maggioranza viveva di modestissime prestazioni, anche di legna e di pane. C'era differenza tra benefici e benefici, tra parrocchie e parrocchie, tra canonicati e canonicati, tra diocesi e diocesi, per quanto concerneva emolumenti e propine. C'erano diocesi che guadagnavano assai copiosamente, altre appena il necessario per vivere. Perciò in alcuni ecclesiastici c'era l'abitudine di darsi alla crapula e all'ozio; in altri vigeva il costume corretto e la povertà evangelica. In una stessa parrocchia c'erano preti che vivevano di lusso, altri di elemosina. Tutta la regione, come si è detto, era divisa in quattro diocesi; la prima era quella di Melfi Rapolla; la seconda di Tricarico; la terza di Angiona-Tursi, la quarta di Marsico e Potenza. Altre quattro diocesi avevano sede in Lucania, ma si estendevano nelle province limitrofe, ed erano quelle di Monte-peloso, di Àcerenza, di Venosa e di Muro. Altre cinque diocesi avevano la denominazione lucana, ma la sede centrale esisteva in regioni vicine, ed erano quelle di Policastro, Cassano, CanosaAndria e Trinità di Cava.
Era strana la estensione e la distribuzione di queste tredici diocesi, i cui territori s'intersecavano, si dilatavano in più distretti, sia della regione, sia delle vicine. Per esempio nel Materano c'erano tre vescovi, nel territorio di Lagonegro 4, in quello di Melfi 6, in quello di Potenza 7. Ogni diocesi si divideva in innumerevoli benefici, cappellanie, parrocchie, cattedrali, alla loro volta divise in minuzzoli di cure, e in questa rete fittissima si doveva districare l'autorità civile, che trovava tanta difficoltà fra cui bisognava armeggiarsi.
Non troppo lodevoli erano le condizioni morali e intellettuali della maggior parte del clero, che pure nel passato aveva vantato dotti teologi e valenti predicatori, sinceri apostoli e maestri esemplari di cristianità. I seminari, che un tempo erano stati centri di educazione e di studio, e avevano contato maestri insigni, i quali avevano diffuso il sapere e custodito il fuoco della scienza, onde fra le fitte tenebre della ignoranza, mancando ai laici istituti propri, rappresentavano l'unica fonte di cultura per la borghesia, erano in grande decadenza, e parecchi giovani erano costretti a recarsi nei seminari di Molletta e di Conversano, di Cava dei Tirreni e di Salerno per addottorarsi nelle professioni. Nella vasta regione c'erano solo dodici seminari con appena quattrocento convittori, che nel 1860 erano ridotti ad una cinquantina. Negli ultimi tempi del dominio borbonico quattro seminari, quelli, cioè, di Anglona e Tursi, Chiaromonte, Marsico Vetere e Melfi, disparvero per la fuga dei Vescovi dalle proprie diocesi; l'altro di Montepeloso fu chiuso per mancanza di mezzi, pur essendo ricco il patrimonio della diocesi; il seminario di Venosa per volontà del Vescovo, quello di Matera per noncuranza d'insegnamento; quello di Potenza non per colpa di uomini, ma per la rovina cagionata dai terremoti. Tutti erano venuti meno alla loro nobile funzione per inopia di alunni, scarsità di profitto, istruzione arretrata e cattivo costume.