Rassegna storica del Risorgimento

CLERO BASILICATA 1851-1860
anno <1965>   pagina <65>
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Condizioni sociali e morati del clero tucano 65
Anche Ferdinando II era impressionato di tanta decadenza e il 1 agosto del 1855 aveva indirizzato ai diocesani del Regno un rescritto in cui lamentava i vizi che s'erano diffusi nei seminari, dove era poco rispettata la morale evan­gelica, scarsa era la frequenza dei sacramenti, e in qualche seminario lungi dal fortificare la semenza del bene nei giovanetti, e svilupparsi in essi i residui preziosi della naturale innocenza, il loro cuore è inclinato alla infelice fecondità del male e della corruzione . L'insegnamento era superficiale e scarso; più che teologia s'insegnava mitologia. Di lingue apprendesi solo la latina, o meglio talune regole, pochi verbi, da non poter neppur valere allo studio di canonisti; dello scibile di scienze solo la dommatica o teologia causistica, raffazzonata appresa come a Incarico, ad Acerenza, a Marsiconuovo e a Mauro si può. Di geografia, di storia, di scienza filosofica e di scienza politica e civile nessuna cultura. E si esce di colà accomodato l'intelletto di talune sentenze di frati o giusteric di sacrestia, che poi si attribuiscono a santi padri, tanto da sciorre i quesiti mercè i quali vestire l'ordine sacro, che è il mezzo di scalare di poi un beneficio o una cura... .l)
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Diamo un cenno alla potenza che aveva il Vescovo in alcune diocesi. Egli, forte del suo prestigio e dell'appoggio quasi incondizionato del governo, in certi luoghi era un vero despota contro gli stessi preti dipendenti. Spesso era parziale e fazioso e, come aveva i beniamini, che lo lisciavano, così aveva i reprobi, cui non era dato il mezzo di sfamarsi alla greppia degli uffici ecclesiastici. Non era raro il caso che il prete troppo ribelle fosse trasferito da una diocesi ad un'altra, e spesso sospeso a divinis. Non c'era possibilità di appello, e lo Stato faceva da sbirro e da galeotto, frequenti erano i confini in parrocchie lontane e l'asse­gnazione di un certo periodo di esilio in un chiostro per ammenda a qualsiasi ribalderia. Nelle cause penali a carico di ecclesiastici, per evitare ogni pubblicità la discussione si faceva a porte chiuse e, in caso di condanna a pene correzionali, si permetteva al condannato di impetrare dal Re di espiarla in un convento.
JX Vescovo aveva una grande potenza e, non curandosi del governo, trattava direttamente con Roma, che per mezzo suo esercitava un vero dominio, col-l'appoggio dello Stato, che era ligio al potere ecclesiastico. Per mezzo dei Vescovi si rivolgevano alla Santa Sede gli abitanti come al loro principe per ogni specie di grazia e di unici, ed essi alla loro volta, secondo un rescritto del 13 agosto 1850, comunicavano gli ordini di Roma, le grazie e i rabuffi ai laici e agli eccle­siastici senza bisogno della potestà civile.
Essendo i Vescovi i giudici delle cause di patronato, sottraevano i chierici rei alla giustizia o al carcere per il chiostro e dal chiostro o dalla sacrestia trae-vano al carcere i loro nemici. I Tribunali non avevano alcun potere di giudicare i chierici, perchè il Vescovo era il solo intermediario tra le provincie e il Re; non l'Intendente o il Presidente del Tribunale. La polizia era il braccio del Ve­scovo e anche del parroco.
Il Vescovo era arbitro di bandire questo o quello, di scomunicarli e di espel­lerli dal confessionale e dal pulpito. Una volta il Vescovo di Melfi sospese a
l) E. PÀNI-ROBSI, op. eit., pp. 318 e Hgg.
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