Rassegna storica del Risorgimento

SIMON ALO?S; SIMON ALO?S BIBLIOGRAFIA
anno <1965>   pagina <82>
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Libri e periodici
nucleo archivisticamente più unitario e importante, hanno lasciato talora ancora in ombra. Sin d'ora, sulla base dei sette voltimi testé pubblicati, è però possibile farsi una idea ab­bastanza precisa e completa del ruolo e del significato del Melzi nelle vicende post-Marengo.
Dopo Marengo il nuovo assetto italiano non poteva non essere che la conseguenza dell'esperienza del triennio 1796-99. Per i giacobini, tornati al seguito dell'Armce o dalle prigioni austriache, la risorta Cisalpina, non poteva ricalcare le orme della prima. A Mi­lano e in varie altre località la loro parola d'ordine nel 1800 fu la richiesta di una Conven­zione Nazionale italiana e cosa essi intendessero con questa richiesta si può facilmente arguire dell'inneggiare a Robespierre che spesso l'accompagnava. A questa richiesta si opponevano ovviamente e la vecchia classe dirigente cisalpina, che avrebbe voluto so­stanzialmente continuare come prima, e la maggioranza dei ceti e dei grappi dominanti che avrebbero invece voluto sostanzialmente far ritorno al vecchio riformismo moderato ammodernandone taluni aspetti, cioè, in parole povere, l'espressione degli interessi della nobiltà e della grossa borghesia liberali e liberiste.
Coloro che, ancora una volta, decisero della sorte della rivoluzione italiana jfarono però i francesi.
Nel maggio 1796, quando bene o male doveva ancora fare i conti con il Direttorio e con i partiti francesi, il Bonaparte aveva detto ai democratici milanesi ci vogliono dei possidenti per operare una bella e durevole rivoluzione ; ubero da ogni freno, nel 1800 questo suo pensiero divenne realtà. La seconda Cisalpina non ebbe che una vita effimera. Nonostante richiamasse al potere alcuni vecchi moderati del triennio rivoluzionario, il Bonaparte si guardò bene dal restaurare veramente il loro potere: non solo il vecchio Direttorio non fa rimesso in funzione, ma non furono neppure reinsediati i vecchi Corpi Legislativi; quanto alla pur moderatissima costituzione imposta dal Trouvé nel 1798 non se ne parlò piò e tutti i poteri effettivi furono riservati ad un ministro straordinario francese. Un progetto di costituzione elaborato dalla Consulta fu sostanzialmente respinto dal Bonaparte. Le sue vere intenzioni, già annunciate dalla cura con cui i giacobini fu­rono esclusi dal potere e dal richiamo del Melzi, apparvero chiaramente a Lione. Niente unità per l'Italia: il Piemonte e la Liguria rimasero esclusi dalla nuova repubblica che, unica concessione alle aspirazioni nazionali italiane, di italiano ebbe solo il nome. Niente indipendenza: la Repubblica Italiana fu legata alla Francia dalla duplice catena del suo presidente, il Bonaparte, e di una pesantissima contribuzione annua alla Francia. Infine, niente libertà: la nuova costituzione fu caratterizzata da un estremo autoritarismo, dalla quasi completa assenza di effettivi poteri del Corpo Legislativo e della Consulta di Stato {eletti dai collegi , nominati a loro volta con criteri classisti e censitali) e da un'estrema farraginosità che cercava di mascherare la sua antidcmoccaticità.
A Lione furono così d'un sol tratto frustrate le aspirazioni e dei giacobini e dei gruppi più coscienti del vecchio riformismo, impersonati dal Melzi. Questi avevano sperato in­fatti nella creazione di un regno di tutta l'Italia settentrionale (sotto un sovrano spa­gnolo o sotto l'ex granduca di Toscana) pegno e strumento dell'equilibrio e dell'amicizia francoaustriaca. Quelli invece nella creazione di un'analoga repubblica italiana, amica della Francia ma da essa completamente indipendente. Nonostante eiò, sia gli uni sia gli altri all'atto pratico finirono per fare realistieamente buon viso al cattivo gioco del Primo Console. La posizione del Melzi è stata bene lumeggiata dallo Zaghi:
e Se la soluzione escogitata a Lione non ora quella voluta dal Melzi, conteneva però in sé i germi e le premesse di quello Stato unitario e indipendente, il quale, nel pernierò dei Melzi, doveva accompagnare l'alleanza franco-austriaca. Il problema per il Vice-presi­dente era di contenuto più. che dì forma. Si rendeva conto che soltanto per la forza e l'energia con cui avrebbe saputo creare dal nulla uno Stato italiano di nome e di fatto, e nella misura in cui sarebbe riuscito a contenere l'ingerenza della Francia sul nuovo organi­smo e a vincere la diffidenza di Napoleone negli Italiani o ad attuare le riforme che aveva in animo, egli avrebbe potuto imporre la Repùbblica alla considerazione e al rispetto del­l'Europa e dare alla Francia la prova della maturità e della capacità dell'Italia a erigersi a nazione e a reclamare, con più prestigio, una vita sua, autonoma e sovrana .