Rassegna storica del Risorgimento
FARINI LUIGI CARLO
anno
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1965
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pagina
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551
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L. C. Farini medico condotto a traduttore di S. Agostino 551
usto a Forlì), Il fatto che nel seminario di Ri mini avesse seguito gli insegnamenti di don Carlo ,1 oli (un sacerdote che professò teologia dogmatica per oltre mezzo secolo, mantenendosi a giusta distanza tra ì principi del giansenismo e quelli del molinisrno), gli permise di trovarsi a suo agio con un prelato alieno dagli estremismi. Lasciò Ihifficio per divenire parroco, por ragioni che non ci è stato dato di appurare, nell'agosto del 18X4, quando da alcuni mesi aveva fatto ritorno a Roma Pio YII e le Legazioni erano governate provvisoriamente dall'Austria.
La bolla, rilasciata da mons. Ridolfi in data 6 agosto il 24 ebbe il placet dal conte Giulio di Strassoldo, della Commissione Governativa di Bologna. Una volta capo di una parrocchia che non superava le 200 anime, potè riprendere il ministero della predicazione, valendosi anche della collaborazione del fratello don Vitale, che nella stessa epoca aveva lasciato il governo del seminario del Monte feltro, per divenire coadiutore del congiunto.
Seguire i due per le città e le borgate degli Stati della Chiesa, nelle quali predicano corsi di missione, esercizi, avventi, quaresime, non è cosa agevole, perchè si tratterebbe di fare la storia di una attività più. che trentennale. Neppure è facile descrivere le modalità secondo le quali queste predicazioni impegnative si svolgevano, nella scia degli esempi antichi lasciati dal celebre padre Luigi Mozzi (17461813) e in conformità di quelli recenti, dati da mons. Vincenzo Maria Strambi (1745-1824), Gaspare del Bufalo (1786-1837), e infiniti altri. I modi di queste missioni sono stati molto discussi, perchè spesso facevano leva non tanto sull'intelligenza, quanto sul sentimento degli ascoltatori, i quali talvolta erano fanatizzati da forme di persuasione quasi istrioniche. I membri del clero più colti e inclini a far propri i principi del persistente giansenismo, che erano per una liturgia essenziale, mal tolleravano quegli eccessi, che diseducavano, più che educare la massa dei credenti; ma si trattava pur sempre di una minoranza, che i più seguivano l'andazzo comune. Nel migliore dei casi, si faceva leva sulle devozioni popolari, che si ritenevano capaci di surrogare una consapevole accettazione delle credenze, delle regole di vita, delle norme rituali dell'antica tradizione cristiana. Per quanto riguarda l'Italia, quella della vita religiosa tra Sette ed Ottocento è una /Ustoria condenda. che merita di essere indagata a fondo, per essere capita e, in parte, giustificata.
I fratelli Corbucci, tuttavia, anche in questo erano dei moderati, e il loro senso della misura pensiamo si sia affinato negli anni in cui rispettivamente diressero i seminari di Rimini e Montefeltro. Non doveva essere facile governare istituti ecclesiastici negli anni del Regno Italico, allorché i posti direttivi erano in mano ai vecchi giacobini, sempre felici di prendere in fallo gli ecclesiastici zelanti. Si trattava di salvaguardare i valori religiosi fondamentali, evitando di politicizzare in direzioni opposte, ma ugualmente pericolose, l'insegnamento e la predicazione. Invero, se era nel torto chi giudicava Napoleone homo missus a t>eo,l> Io era anche; efri sì augurava sic vt simpliciter la restaurazione dell'nn-ùfm rfigijrte.
l) La singolare tuTormozione fu fatta da don Tommaso Francesco Ferri, parroco di Mòtìteoguzzo di Cesena negli anni dal Regno Italico, La si ricava da una relazione che mons* A. M. Cadi!ini inviò nel settembre del 1824 ai cardinoti membri della Surra Congregazione della Suprema Inquisizione, por denunciare le malefatte del Ferri che pare non fosse davvero uno mitico di santo; vi è dotto fra l'nitro: Il Ferri menò seco alla Par-