Rassegna storica del Risorgimento

BALBI SENAREGA FRANCESCO CARTE; BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI GEN
anno <1965>   pagina <609>
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Libri e periodici 609
Siciliani agli Italiani della penisola. A quell'epoca, invece ai Siciliani bastava che alla loto nazione fosse gara riti in per messo di alcune prerogative giuridiche un'indipendenza formale dalla dina Min che cingeva la corona di Sicilia; l'ordinamento costituzionale poteva per­tanto essere definito dal Villabiauca come il massimo privilegio della nazione . Che si trattasse soltanto di un'indipendenza formale ai Siciliani non interessava poi tonto, a patto che la corona garantisse il mantenimento dei privilegi; il che spiega a sufficienza l'ispanofilia della classe dirigente siciliana sotto le dinastie sabauda ed asburgica, si che ancora nel 1821 l'ambasci a torc spagnolo a Napoli poteva affermare che los Sicilia nos aman a los espaùolcs y se considerati espafloles eiios misxnos (v. G. SPINI, Mito e realtà detta Spagna nella rivoluzioni italiane del 182022, Rama 1950, p. 115), e l'anglofilia di un secolo appresso, giunta fino alle pressioni del Belmonte sul Bentinck affinchè quest'ultimo pren­desse senza esitazioni e saldamente nelle sne mani il governo della Sicilia.
Difatti, allorché Ferdinando IV di Borbone nel 1816 annullò con due decreti le prerogative costituzionali del regno, rinnovate dalla Costituzione del 1812, fu accusato dagli stessi Siciliani di avere con quel suo atto cancellato dal novero delle nazioni la Sici­lia e di averla ridotta al rango di provincia. Nò d'altronde, se ben si rifletta, per le condi­zioni storiche dell'isola tra il Sette e l'Ottocento* un concetto di nazione poteva in Sicilia essere poggiato su delle basi etico-politiche, invece che giuridiche. L'isola usciva proprio in quegli anni da un medioevo fendale protrattosi per circa sette secoli, ed una società frazionata in feudi, ognuno dei quali arroccato tra i suoi previlcgi, ed in cui le stesse libere città lottavano per accrescere e conservare i loro, anche a reciproco danno (è nota ad esem­pio la tradizionale rivalità tra Palermo e Messina, ognuna delle quali ambiva al titolo di capitale del regno), non poteva far certo propria un'idea di nazione intesa come a un pensiero comune, un diritto comune, un fine comune , per usare le suggestive parole del Mazzini; invece, come accadeva in Sicilia, dove gli uomini non riconoscono un principio comune, accettandolo in tutte le sue conseguenze, dove non è identità d'intento per tutti, non esiste Nazione, ma folla, aggregazione fortuita, che una prima crisi basta a risolvere (Mazzini, Nazionalità, in Scritti editi ed ined., VI, p, 125); e la crisi risolutiva in Sicilia cadde nel 1820-21.
Un altro dei miti in cui il Tomeucci rimane incapsulato è quello della Sicilia Stato costituzionale* Indubbiamente la Sicilia si resse a regime costituzionale nel breve periodo che va dal 1812 al 1815, regime che se fosse durato più a lungo forse avrebbe deter­minato il formarsi di una moderna ed adegnata coscienza nazionale. Ma nei secoli che corsero tra la fondazione del Regnimi Siciliae ad opera di Ruggero II e il 1812 l'isola non godette certamente di una costituzione nella moderna accezione del termine.
Quella embrionale forma parlamentare che il Tomeucci ravvisa nella Sicilia della se­conda metà del '700 e che il Caracciolo non avrebbe saputo o voluto comprendete (pp. 39-41), altri non era invece, a nostro avviso, che il residuo cristallizzato di un'antica costitu­zione feudale, d'altronde comune a tutte le altre monarchie feudali del medioevo, e che in Sicilia, per certe singolari ragioni storiche, si era conservata, pur denunciando l'usura del tempo. Di vere e proprie facoltà legislative, poi, il parlamento siciliano non aveva mai goduto, nemmeno negli anni migliori della tradizione parlamentaristica isolana; nel periodo del viceregno spagnolo, inoltre, le prerogative del parlamento si erano ridotte al voto dei donativi e alla domanda di grazie al sovrano. Questa era peraltro l'opinione dei più illu­minati storici e giuristi siciliani, quali il Gregorio (Considerazioni sulla storia di Sicilia, 1803) ed il Cagliali! (Discorsi sopra il diritto pubblico di Sicilia, 1817), che avevano sot­tolineato, in tempi diversi ed in diverse circostanze, il ruolo di protagonista nella storia politica e giuridica dell'isola assunto non dal parlamento o dagli altri organi costi t lesio­nali , ma dal potere della corona.
Il mito della costituzione siciliana, al pari dì quello della costatazione inglese, prese invece corpo e vigore allorché la coscienza costituzionale di una nuova classe po­lìtica, affermatasi in Sicilia per reazione af tentativi riformistici dal Caracciolo, proiettò uirindiet.ro nel pa*suto dell'isola ciò che invece non poteva esser visto che nel futuro: un nuovo e più moderno assetto costituzionale dello Stato; interpretando in senso costi-