Rassegna storica del Risorgimento
BALBI SENAREGA FRANCESCO CARTE; BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI GEN
anno
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1965
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pagina
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625
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Libri e periodici 625:
mente) quanto più vivo deve essere il nostro rimpianto scorgendo in un libro circoscritto nei limiti della sintesi e dell'esposizione tanti pregi di acume, dì chiarezza, di dottrina tali da renderlo uno strumento indispensabile di lavoro ! Se questo è il Luzzatto ultimo e minore* quanto cammino è alle sue spalle, quale curiosità di ricerca, quale impegno ad un tempo civile e morale e politico. quell'impegno che faceva a ragione evocare dal Cipolla i nomi del Pixenne e soprattutto del Bloch, ma con costanza e perseveranza anche maggiori, quell'inimitabile semplicità nello svestirsi dei paludamenti accademici per scendere a schertneggiare nel giornalismo e con l'uomo della strada, senza sussiego* anzi con l'assillo vivissimo della ricerca del giusto e del vero, simile in ciò il Luzzatto soltanto all'esempio quanto stimolante altrettanto ostico ed arduo dell'amicissimo Salvemini!
Il volume, risultato d'indagini archivistiche già portate avanti frammentariamente da parecchi anni, fa centro su materiale edito e particolarmente parlamentare: metodo di lavoro assai degno di riflessione, questo, come quello che si studia d'indagare (e vi riesce egregiamente) le reazioni immediate, concrete, ed i presupposti teorici degli ambienti politici e tecnici dinanzi alla realtà economica che si evolve sotto i loro occhi, un mondo Vivo ed operante, insomma, con tutte lo sue contraddizioni, senza lasciarsi andare olla suggestione gelida ed impersonale delle curve e dei diagrammi, un mondo di puri eventi, senza uomini che si accapigliano ed errano e si esaltano in discorde concordia (da rilevare in proposito l'attenzione partecipe che l'A. riserva a testimonianze letterarie, da Levi a Fucini, da Bacchclli al principe di Lampedusa, senza quel facile disdegno verso il preziosismo od il populismo che anima oggi la critica storica e letteraria più. modernamente impegnata ed efficiente ). Gli atti parlamentari confermano ciò che non si dovrebbe mai dimenticare, che cioè certi fenomeni, certe crisi, certi processi sociali, son venuti fuori per cosciente e determinata scelta politica, dopo lungo dibattito, su accurata documentazione, sapendosi bene ciò che si faceva per superiori sollecitazioni politiche od addirittura internazionali, senza dover attendere, insomma, che sorgessero i nostri contemporanei a ricostruire la vera storia dell'I tal ia unita, della quale gli artefici non si rendevano esattamente conto e che trasecolerebbero a rivedere oggi, tutta scrupolosamente chiarita e spiegata ed incasellata per la loro ingenua ignoranza.
Le costruzioni ferroviarie e la preponderanza mondiale del mercato parigino sono ì due capisaldi a cui l'A. fa riferimento preliminare per dedurne comparativamente (e su elementi assai interessanti; si veda ad esempio la stazionarietà demografica urbana) la grave inferiorità delle condizioni economiche di partenza dell'Italia unita. Ad esse lo Stato ovviò in un primo tempo essenzialmente con la soppressione delle dogane interne e con lo sviluppo, appunto, delle costruzioni ferroviarie: foriero, il primo provvedimento, di una crisi innegabile dell'industria meridionale, ma a causa della sua cronica scarsezza di capitali, non già di una presunta invasione di tipo coloniale, del resto obiettivamente impossibile, da parte degli industriali del Nord (ma la crisi va a colpire soprattutto proprio quel po' di proletariato operaio che sì era formato nel Mezzogiorno, e la cui dissoluzione fornirà esca non indifferente alla propaganda ha k uni sta); collegato, il secondo, con potenti interessi stranieri ad un tempo finanziari ed industriali, dò che sotto un doppio profilo danneggiò a lungo, e gravemente, l'economia nazionale. Del resto, l'alienazione delle terre demaniali ed ecclesiastiche, ispirata a criteri esclusivamente fiscali, non si risolse affatto in quella creazione sociale di una cintura di piccola proprietà, che si sarebbe potuta auspicare, anzi aggravò l'indebitamento e la generale depressione economica dei contadini, come l'A. spiega in una pagina quanto mai ferma e serena.
L'aumento pauroso del disavanzo, profilatosi dopo un quadriennio di ottimismo frenetico determinato in primo luogo dalie prospettive miracolistiche sul Mezzogiorno (e qui la circostanza che ai dovesse attendere un Fortunato per essere disillusi in merito non testimonia a favore della classe dirigente meridionale, così nell'emigrazione cavouriana come nell'esercizio ventennale del potere) poneva intanto in piano assolutamente preminente il problema finanziario, non sonato certo da un fiscalismo che spogliava, ad esempio, letteralmente la Sardegna, ma ridiiceva anche a mal partito la fin qui abbastanza florida economia complementare abruzzese-pugliese. Onde il rapido aumento del debito pubblico,