Rassegna storica del Risorgimento

REPUBBLICA BATAVA 1795-1806; REPUBBLICA CISALPINA 1797-1799 --
anno <1966>   pagina <24>
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Carlo Zaffili
Anche in tema di politica interna, le loro idee.solo apparentemente concor­davano. Se detestavano entrambi, con pari intensità, l'intolleranza religiosa, il regime feudale, l'ineguaglianza civile e la costituzione inglese e criticavano aspramente la politica pendolare del Direttorio, la debolezza dell'esecutivo e ti decentramento amministrativo, ed erano concordi sulla necessità di dare una nuova struttura politica e costituzionale allo Stato, divergevano, però, pro­fondamente sui limiti, sul carattere e sui fini della riforma stessa, nonché sui mezzi da impiegare. Sieyès è fautore della teoria della limitazione della sovra­nità dello Stato, Bonapartc della sovranità illimitata. 11 primo vuol difendere la legalità rivoluzionaria, l'altro manometterla. La libertà civile, che nel si­stema di Sieyès è una delle pietre angolari dell'edificio, per il generale è una finzione giuridica. Sieyès crede nel diritto,' e nella speranza di una umanità migliore, Bonapartc non ci crede più o non ci crede abbastanza e ha il culto della forza. Il generale vuole l'ordine militare, assoluto, rigido, pedante, amman­tato di forme civili; l'exabate un governo autoritario nella forma, ma liberale nella sostanza attraverso la rigida garanzia delle libertà individuali e la parte­cipazione dell'esecutivo al potere legislativo: cioè l'ordine della legalità. XI pri­mo sogna ima costituzione costruita su misura; l'altro, invece, una carta ar­ticolata in maniera più aperta e rispondente agl'interessi generali del paese e dei cittadini. L'ideale di Bonaparte è un governo organizzato sul modello dell'armata in cui il generale in capo, vero padrone assoluto, era circondato da uno stato maggiore civile, ubbidiente e sottomesso, non avente altro com­pito che quello di esprimere in termini legislativi le sue decisioni e di legaliz­zare la sua autorità. Centro motore di tutto il sistema, il governo, quale espres­sione e rappresentante della nazione, comprendeva due distinte magistrature: una, vero Gran Consiglio della nazione, doveva sorvegliare senza agire; l'altra, agire solamente. In altre parole, la seconda era tutto, la prima nulla. Contro un esecutivo concentrato, indipendente, energico, Bonaparte oppone un po­tere legislativo impassibile, senza rango nella Repubblica, senza ambizioni e senza occhi e senza orecchi per ciò che lo circonda . Era la negazione asso­luta della teoria di Montesquieu sulla suddivisione dei poteri, e si spiega il distacco con cui il generale nella lettera famosa a Tallevrand1) respinge sdegno­samente le false definizioni del filosofo, colpevole, a suo parere, di aver tenuto costantemente gli occhi sul modello inglese. L'uomo che aveva scritto che non poteva esistere libertà quando nella stessa persona il potere di fare le leggi era congiunto al potere esecutivo, perchè c'è da temere che il monarca stesso, oppure il senato, facciano leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente , e che non esisteva libertà neppure quando il potere di giudicare non è sepa­rato dal legislativo e dall'esecutivo, non poteva avere remissione agli occhi di chi si preparava con la forza a dare la scalata al potere e a soffocare la li­bertà.
All'avversione contro la costituzione dell'anno III, che aveva legato ma­ni e piedi all'esecutivo pretendendo nel contempo che marciasse, si univa in Bonaparte il disprezzo per gli avvocati del Direttorio , eternamente in
M Carrtfpondanc* de NAPOLÉON, TU, ti. 2223: Bonnparte a Talleynuul, Patweriano, le * jnur complcuieaUuVi! V (IP *i>tteinbrc 1797). Gir. tinche, K. DAIU, Napolion m Tnllay-rumi. Paris, pÌm-lQ; TALLEYBAND, MSmoirm, eiu 1, pp. 261-264; R. GUYOT, DU Dirertaire au Contatati pp. 4-6