Rassegna storica del Risorgimento

ALIGHIERI DANTE
anno <1966>   pagina <51>
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RASSEGNE, DISCUSSIONI E VARIETÀ
IN MARGINE AL CENTENARIO DANTESCO
Il 1865 è per Venezia un anno di singolare importanza. La delusione del­l'armistìzio di Villafranca dopo S. Martino e Solferino, che troncava la guerra di liberazione iniziata da Vittorio Emanuele II cui l'alleato imperatore Napo­leone UE aveva promesso che avrebbe fatto sgomberare l'Italia dagli Austriaci dall'Alpi all'Adriatico, da sei anni pesava sulla città. Invano il paternalismo asburgico, alternando le lusinghe, alle minacce le concessioni alle restrizioni, s'era adoperato a ridurre l'ostilità dei Veneziani, a richiamarli a più mite considera­zione verso l'inviso regime statale.
Troppo vivo era il fermento degli spiriti, troppi fantasmi di libertà, troppe visioni di indipendenza agitavano l'aria fino allora rarefatta.
Sulle rive dell'Arno, l'antica capitale lorenese, dove faceva il suo ingresso re Vittorio, tripudiava nelle grandi feste per il centenario dantesco.
Fiso guardando pur che l'alba nasca Venezia si volgeva anelante alla bandiera che sventolava su quelle rive.
All'aprirsi dell'anno, approssimandosi la data del centenario, il governo au­striaco non ne aveva proibito la celebrazione nelle provincie del Lombardo-veneto. Ne aveva, anzi, quasi assunto il patrocinio autorizzato dall'invocazione ai mani di Alberto Tedesco, figlio di Rodolfo d'Asburgo, ucciso a tradimento da un congiunto nel 1308, dimenticando il formidabile atto d'accusa che stride sem­pre più alto e più aspro nel canto di Sordello, acceso di passione, d'ira, di sarca­smo, di disperazione, di una pugnace volontà di giustizia. La digressione potente da invettiva politica si trasforma in suprema affermazione dell'individualismo del Poeta che si sente investito dal diritto del genio a giudicare papi, chierici indegni, imperatori immemori, demagoghi e mestatori, il popolo italiano e il popolo di Fiorenza sua. Ma per l'Austria non c'era soltanto l'Alberto Tedesco; Dante aveva scritto il poema sacro in italiano, una delle lingue dell'impero, quindi l'Austria poteva annetterlo alla propria letteratura.
Gli scolari delle scuole regie a Trieste studiavano in un'antologia ufficiale il canto del benemerito sunnominato Alberto Tedesco. Intanto i sudditi lom­bardoveneti cospiravano. A Padova risiedeva, alle dipendenze del Comitato Centrale di Torino, l'attivissimo Comitato Veneto, che si radunava in una villa in quel di Strà, avendo a suo capo il medico Ferdinando Coletti, figura di apostolo austeramente modesto. Di esso facevano parte Alberto Cavalletto, glorificato dalla condanna nelle fortezze dell'Impero e Antonio Tolomei, poeta, prosatore, filologo, giornalista, poi deputato al Parlamento e sindaco della sua Padova, dove era nato nell'agosto 1839 dall'insigne giureconsulto Gianpaolo professore in quell'Università, autore del celebro Corso elementare di Diritto naturale e razio­nale. Antonio Tolomei aveva fondato il giornale II Comune ohe con arte tuffi-nata esprimeva le ansie e le speranze dei patrioti. Processato per un articolo, con abile astuzia era sfuggito a una condanna ohe il tribunale gli avrebbe ben