Rassegna storica del Risorgimento
CAPOMAZZA CARLO
anno
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1966
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pagina
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Giuseppe F. de Tiberiis
nei suoi gradi interiori di sviluppo. Certamente, però, essa fu determinata proprio dal suo moderatismo politico, tipico di quella parte della borghesia meridionale che aveva, in effetti, preso coscienza di sé e della sua funzione storica, dopo gli avvenimenti del 1848. Se si pensa, poi. al fatto che nel 1860, a Napoli, dopo l'arrivo di Garibaldi e prima, durante il regime costituzionale di Francesco II, sì stavano ricreando le stesse condizioni caotiche del 1848, con numerose aggravanti, la decisione dell'elemento moderato di accettare l'unità con i Savoia, non può essere imputata, sempre e per tutti, ad opportunismo conservatore.
Prima di addentrarci nell'analisi del pensiero di Carlo Capomazza, riteniamo opportuno premettere alcune considerazioni sugli avvenimenti che precedettero l'improvviso esplodere della rivolta contadina e sulle condizioni gene-rali del Regno al momento dell'annessione.
La situazione politica nel Napoletano, nel periodo che precedette l'intervento sardo, non era certamente delle più chiare: anche se le provi nei e, pur dove non arrivò l'armata garibaldina, si erano organizzate sotto la direzione di comitali liberali-moderati*) la capitale e la Sicilia erano in preda alle fazioni politiche in lotta fra loro sul problema dell'annessione. In ultima analisi non tutti erano disposti a sacrificare, sull'altare dell'unità, le loro idee politiche ed i loro propositi di mutamenti sociali e non tutti accettavano quella unità che, peraltro, sembrava un risultato parziale non soltanto sul piano territoriale, ma ancor più su quello ideologico.
D'altra parte ciò era inevitabile: a ben guardare una differenza profonda esiste fra l'annessione, poniamo, della Toscana a quella delle Due Sicilie; la prima fu frutto dell'azione pacifica dei moderati, già da tempo membri della cavo arri an a Società nazionale e in tale vicenda fu poco o nullo il ruolo giocato dal Partito d'azione. La seconda, invece, nacque come iniziativa garibaldina e nutrì, quindi, le speranze del partito mazziniano e di quello dell'estrema sinistra, di realizzare finalmente e con successo la sospirata iniziativa popolare per l'unità italiana. Altri elementi vanno poi aggiunti per rendere più chiaro il quadro: mentre Garibaldi era a Napoli e si dibatteva il problema di accettare o meno l'unità sabauda, Francesco II al Garigliano ed al Volturno aveva riorganizzato l'esercito che costituiva, con le sue forze pressoché intatte, una gravosa incognita, tale da mettere in forse tutta l'impresa garibaldina, senza un tempestivo intervento delle armate sarde. È altresì da notare che lo slancio rivoluzionario dopo l'arrivo a Napoli, aveva subito una certa attenuazione sia per le numerose defezioni che si andavano verificando, sia per i contrasti politici fra annessio-niti monarchici e repubblicani. Tutto ciò era ben noto ai liberali moderati del Napoletano e, forse con maggiore chiarezza, a quelli delle Provincie che già vedevano serpeggiare nelle campagne sentimenti e tentativi di reazione più temibili dei precedenti perché ispirati, oltre che dal legittimismo e dal vecchio odio di classe per i galantuomini, anche da un indistinto, ma vivo Benso di nazionalità*
La fazione legittimista, poi, oltre che valersi della sollevazione contadina tradizionalmente anti-borghese, cercò di usare a suo favore gli scontenti ed i contrasti in campo avversario. Furono fatti tentativi, e non sempre vani, di attirare nella lotta unti-unitaria gli elementi della sinistra garibaldina che, con l'intervento sardo e l'annessione, avrebbero visto tramontare l'idea mazziniana
!) Vedi G. RACIOPPI, op. eh