Rassegna storica del Risorgimento

CAPOMAZZA CARLO
anno <1966>   pagina <603>
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Il brigantaggio meridionale e il pensièro di Carlo Capomazza 603
ubile ravvicinamento dei due eventi storici. In Francia lo spettro della rivo* luzione sociale fu evitato, dopo la repressione della sommossa parigina del ghigno 1848, mediante un'alleanza fra la borghesia urbano e le masse rurali, esasperate dalle nnove tasse imposte dal governo provvisorio, per far fronte alle aumentate spese pubbliche, specie a quelle per gli opifici nazionali. Ciò fu sufficiente per 1 "instaurazione di nn governo moderato che, sotto la presidenza di Luigi Napoleones andò subendo una rapida trasformazione in senso autori* tario, fino a sfociare nel Secondo Impero.
Non diversamente si svolse la lotta fra borghesia e plebi rurali nel meri* dione d'Italia: nel 1848 non era stata possibile la nascita di nn Regno costi* razionale nel Sud. proprio perché la borghesia, fra l'ai irò rappresentata da elementi estremisti, non aveva, né poteva avere, per i motivi cui abbiamo accennato poc'anzi, l'appoggio popolare. Nel 1860 la situazione è identica, anzi le masse rurali passano, da una posizione essenzialmente assenteistica, alla ri* volta armata. L'intervento dei moderati, quindi, è decisivo e la loro azione si svolge nell'unica direzione possibile: adesione alla Società nazionale creata dalla sapiente azione cavouriana ed alleanza con la monarchia sabauda che con il sno esercito e con il suo prestigio internazionale, assicurasse la conser­vazione dell'ordine sociale e delle conquiste moderate, contro qualsiasi forma di estremismo.
Il carattere anarchico sociale caratterizza dunque, secondo il Capomazza, la prima fase del brigantaggio, frutto dei disagi delle plebi meridionali e dei contrasti fra le varie classi. L'improvviso crearsi, poi, di un vuoto repres­sivo >, fu l'esca per l'immediato deflagrare della rivolta contadina: Infatti nei mesi di luglio e di agosto, quando ancora regnava Francesco II, non vi era, fra le incertezze e le paure ed i continui scambi chi sapesse o volesse gover­nare: e, se qualcuno vi era, non aveva come venirne a capo. Tutta l'antica forza interna, gendarmi, birri e guardie nazionali o si celavano, o con la presente debolezza, si studiavano di fare ammenda delle prepotenze antiche. L'esercito poi, raccolto fra la Calabria e Napoli e solo volto alla guerra, non era di aiuto nelle faccende interne. Né le cose mutarono con la dittatura. Che, anzi, scosso e sconquassato tutto l'ordinamento del governo e tenuti al campo sul Volturno x volontari, né pur anco, se non nelle grandi città, armate le guardie nazio­nali, rimase tutto negli altri luoghi alla ventura, e proprio in braccio alla Provvidenza. *) A questa prima fase, che ha pur essa un colore politico, anche se vago, non del tutto definito, (Bakunin non vide forse, nel brigante meri* dianale, il tipo del perfetto anarchico?), seguì la seconda in cui le forze sparse nei boschi lucani ed abruzzesi, ebbero una bandiera, combattendo per la re­staurazione dell'esule Francesco. Questa politicizzazione del moto contadino in senso legittimista venne determinata, in massima parte, dallo scioglimento del* l'esercitò delle Due Sicilie dopo la capitolazione di Gaeta e dai precedenti sbandamenti di truppe in Calabria e sul confine pontificio: le file di queste armate fornirono capi, organizzazione e disciplina alle bande che, gii di per eé, costituivano un fenomeno preoccupante e che in tal modo, divennero ben più temibili. Coleste ragioni di anarchia vennero poi smisuratamente accré­sciute (...) da un fatto del governo: dal l'aver cioè sciolto l'esercito borbonico e sparsi per le campagne oltre a sessantamila uomini, assuefatti alle armi e disperati. Forse fu necessiti il farlo: forze dal tenerli riuniti ed in arme sa*
*> C. CAPOMAZZA, op. cffc, p. 14;