Rassegna storica del Risorgimento

ITALIA RELAZIONI CON GLI STATI UNITI D'AMERICA 1859-1866; STATI
anno <1966>   pagina <651>
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Libri o periadici
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figlio ideologico e politico delie giornate di luglio* li dell'aggressiva borghesia impren-ilitoriule che no scalari, conseguendone un ruolo egemonico. Anche per Massimo, come per Chateaubriand (un rapporto clic meriterebbe approfondimento non aoio poli* fico ma di milieu culturale e familiare, soprattutto dì disposizione evocativa e rap­presentativa rispetto al posdato od ai paesaggi di natura) la vhurte è un documento fondamentale ed irreversìbile che ha hi se stesso tutta una smisurata potenzialità, al di là della quale non vi e che disordine e sovversione, ma prima della quale, frontone insigne di un tempio crollato, per rubare l'immagine allo scrittore bretone, -non vi è che la monarchia,' l'istituzione sopravvissuta per sua ingenita virtù nazio­nale alle rovine dell'assolutismo ed alle bufere rivoluzionarie. Senza dubbio, nel discorso di Chateaubriand il cristianesimo s'inserisce come elemento unificatore e vivificante non meno della tradizione degli unti di Rei ras. E l'assenza di tale elemento in Azeglio costituisce uno dei problemi critici più interessanti della sua personalità (e meno svolti, forse neppure appieno intuito dell"A., che non sfugge alla regola anglosassone di un antipapismo che spesso si traduce in sordità per gli aspetti più diversi dell'esperienza re li pi osa, ove non scada nella declamazione e nell'invettiva pseudo-hihlichei. In sostanza, dinanzi al fervore missionario di tutti i suoi congiunti. a quella filantropia evangelizzante che mutua dalla vecchia idea illuministica gli strumenti della lettura e dell'istruzione, una socialità paternalistica che è perà il fon­damento insostituibile della piccola borghesia d'estrema sinistra, del mutuo soccorso, più tardi dello stesso cooperativismo, Massimo è interamente uomo del Settecento, un giurisdizionalista severo che non rifugge dalla persecuzione, un attardato ministro di Vittorio Amedeo e di Carlo Emanuele, qualcosa di antiquato e di radicalissimo ad un tempo che fa pensare per un attimo, per assurdo, e con tutte le mutazioni del caso (anche per quella valutazione dello Statuto come un dato di fatto definitivo, nei cui limiti peraltro la vecchia monarchia illuminata ed i suoi ministri riforma­tori sbuffano e recalcitrano) alla formazione ideologica di un Crispi. Certo, questi è un piccolo borghese, un arrivato, un intellettuale arrampicatore press'a poco come Rattazzi: e Azeglio li disistima e se ne tiene discosto. Ma, a guardar bene, l'uomo dei tempi nuovi a cui il suo temperamento, la sua educazione, il suo gusto della politica, massimamente riluttano, è proprio il Cavour, in una inconciliabilità di fondo che la collaborazione, la comune milizia, la stima reciproca, non riescono a sanare. UÀ. sottolinea molto bene l'estraneità di Azeglio ad una valutazione economica, commerciale, della realtà piemontese, e tanto meno italiana. Per lui la penisola è una chiazza di molteplici colori, un fenomeno emotivo e letterario che s'incarna, sì, in una vigorosa polemica pubblicistica, ma senza mai superare l'ambito e lo prassi tradi­zionali del carciofo sabaudo, un Piemonte, per di più, visto ancora nella sua entità statale in sé conclusa, non in funzione egemonica nei confronti della penisola come per il Cavour (qualcosa di analogo alla Lombardia di Cattaneo) né dinamizzato in un inserimento europeo che trascendesse il mero gioco altalenante dello Stato cusci­netto. Azeglio, si, certamente, gode all'estero di una popolarità immensa, che il Cavour seppe a tempo e luogo adeguatamente sfruttare. Ma a suscitare e tener viva in forme sfioranti l'infatuazione siffatta popolarità, specie in Inghilterra (pia complessa e scal­trita era l'esperienza dell'opinione pubblica francese nei riguardi dell'Italia) giovò grandemente l'equivoco, o quanto meno la parziale prospettiva tanto utile anche a Garibaldi: lo scorgere cioè in questi personaggi eminentemente romantici il prototipo più o meno foscoliano del ghibellino italiano, l'eversore appassionato e titanico della tirannide papale. Che Azeglio si rendesse perfettamente conto del lungo travaglio liberale e sociale che da Peel avrebbe condotto a Disraeli non si può certo affermare. La sua mediazione tra l'Italia e l'Europa è ancora di tipo letterario e squisitamente individualistico, 11 suo indipendentismo una trasposizione non meno frequente del­l'atmosfera della disfida di Barletta, senza un inserimento adeguato del problema della nazionalità italiana in quello molteplice dell'impero austriaco, né dì quest'ultimo nel vasto :à'i scricchiolante quadro drtll'equiliforio europeo. Pagina assai lini ha l'A. a questo proposito, per illustrare i motivi od i limiti obiettivi dallo straordinario suc­cesso degli affreschi storici azegliani, certamente assai più esaurienti di quelle dedi-