Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1967>   pagina <646>
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'LIBRI E PERIODICI
RENZO PACI, L'ascesa detta borghesia nella legazione di Urbino dalle riforme alta Restaurazione; Milano, Giuffrè, 1966, in 8, pp. 237. L. 1.800.
Il volume fa parte della collana Ricerche sull'Italia moderna diretta da Al nerto Caracciolo e tratta di un periodo crociale della storia delle Marche: quello della annessione al Regno italico.
Servendosi di un ricco materiale edito ed inedito il prof. Paci ha delineato la situazione economica e politica della Legazione d'Urbino da Benedetto XIV a Napo­leone e da questi a Pio VII. Emerge anche qui alla fine del secolo XV1I1 ed al prin­cipio del XIX una nuova classe: la borghesia che tanta parte avrà nella storia d'Italia.
Le riforme pontificie, timidamente intraprese dai papi Benedetto XIV," Cle­mente XHI e Pio Vis non avevano inciso gran che sul tessuto sociale della regione ed avevano ritardato la nascita del nuovo ceto, che quando iniziò a contare qualcosa divenne una classe specialmente di proprietari agrari. La miseria nelle campagne era diffusissima, anche a causa di un arretrato sistema politico-sociale e fiscale; si pensi che le giurisdizioni baronali nelle Legazioni, nelle Marche, nella provincia di Urbino e nei ducati di Camerino e Benevento, furono ginridicamente abolite solo nel 1816.
Lo Stato pontificio, questo era il dramma, non riusciva ad andare di pari passo con il progresso e non solo con quello ancora utopistico predicato dai philosophes ma anche con quello riconosciuto ed attuato dalle corti di Giuseppe II. Carlo IH, Pietro Leopoldo (né mi riferisco naturalmente alla politica laicista di questi ultimi, ma alle riforme attuate nei campi amministrativo, agrario, finanziario, sociale ecc.). Quando si fece qualcosa in senso riformistico non si intravvide la necessità di trasfor­mare la struttura dello Stato, legato com'era ad una mentalità assistenziale e non mo­dernamente rivolto all'attuazione di finalità collettive (ch'erano interpretate dall'alto dal sovrano). Solo con Pio VU sarebbe cambiata tale prospettiva.
Ebbene, in questo mondo arretrato nel 1797 irruppero i Francesi accolti con simpatia da una ristrettissima élite di intellettuali, prevalentemente ebraici, di piccoli borghesi delle città, ma da diffidenza estrema e poi dall'ostilità delle popolazioni delle campagne tra cui era diffusa una disposizione eversiva endemica (difatti scoppiarono delle rivolte sanfedistiche che ebbero carattere di guerra per bande e furono guidate da alcuni nobili come il conte della Genga).
Era questo il momento della ristretta borghesia, per estendere il potere a scapito delle vecchie classi dominanti. Infatti quando si iniziarono disordinatamente le prime alienazioni di beni ecclesiastici, gii improvvisati giacobini fecero affari colossali arricchendo rapidamente; tuttavia anche aristocratici parteciparono alla speculazione.
Insieme a queste misure le nuove municipalità reclamarono tra le altre cose un nuovo ordinamento politico e l'abrogazione dei privilegi ecclesiastici; ma si guarda­rono bene dal patrocinare una riforma agraria che sollevasse i contadini dai loro stenti (anzi tolsero ad essi quegli strumenti di difesa che il sistema feudale aveva conservato).
É da rilevare che comunque il triennio rivoluzionario rappresentò una spinta im­portante nelle Marche nella direzione di un riformismo di marca settecentesca e di un maggior inserimento della regione tutta nel resto della penisola.
Dopo l'effimera restanrazione die darò dal 1799 al 1807 (e durante la quale fu­rono annullate le alienazioni precedenti, concedendo limitati diritti di rimborso, ma si attuarono ampie riforme da parte del pontefice Pio VII) la borghesìa trovò nel Regno italico le condizioni più adatte al proprio sviluppo ed ai propri ideali. U nuovo fiscalismo era compensato dalle prospettive di carriera che si aprivano con la nuova burocrazia, con l'organizzazione militare che prometteva gloria ed onori per tutti