Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno
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1967
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pagina
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659
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Libri é periodici 659
I/Al IT mostra poi, citando le dichiarazioni dei vari esponenti del nazionalismo, una certa Ironia: il far leva, per destare lo spìrito imperiale* sui miti inattuali .di Roma, nonché sulla miseria, sull'emigrazione, sulla questione meridionale (cioè proprio i motivi che avrebbero dovuto dissuadere da una politica di potenza) gli sembra puerile; le soluzioni propugnate sono per lui tanto astratte e retoriche da sconfinare nel ridicolo (runico che gli appare realista è Federzoni con la sua con* cessione dell'economia come realtà intrinseca alla storia e con la sua ammirazione del solido lavoro tedesco), Senonché il nazionalismo (esternamente espressione vistosa del malcontento dei pìccoli borghesi i quali, come notava Gobetti, nella potenza della patria cercavano il conforto della propria vita meschina: transfert psicologico, diremmo oggi) rappresentava, almeno dal 1908, un affare politico molto serio, perché a quell'ideologia ritardataria stava interessandosi un capitalismo neonato , costretto a battersi in condizioni di obiettiva inferiorità tecnica e politica , e perciò a ri correre ai mezzi più rozzi per cercare di farsi largo nel campo di battaglia internazionale (F. Gaeta). La retorica romana era, per la decisa élite nazionalista, un mezzo per raccogliere adesioni tra la classe media, la cui pìccola cultura umanistica lo incultura, secondo il detto sai verni niano) si pasceva di quelle immagini di grandezza. La soluzione delle miserie d'Italia doveva costituire poi lo sprone morale per l'attuazione di una politica non scevra di sacrifici e rischi, ma sicuramente remu-neratrice.
Il ritenere il nazionalismo anzitutto sentimento, impulso, istinto naturale porta cosi FAlff a sottovalutarne l'azione sia durante la guerra libica (e il Molinelli ha recentemente insistito su tale influenza, tutt'altro che trascurabile, sulla Rassegna)t sia nel periodo precedente l'intervento.
Il saggio di Monticene, che sì è giovato delle corte del Ministero degli esteri tedesco e delle carte Bulow, riguarda essenzialmente il periodo della neutralità italiana. Durante quei nove mesi la Germania tentò con tutti i mezzi di salvare l'alleanza con l'Italia, compromessa soprattutto per l'ostilità italo-austriaca, e si accinse con sollecitudine al compito di mediatrice tra il nostro Paese e l'Impero asburgico riguardo ai compensi che il primo, a norma del trattato della Triplice, chiedeva per i futuri acquisti del secondo nei Balcani.
Le vicende di questa mediazione sono presentate con chiarezza e con una sensibilità che tiene conto anche degli aspetti non diplomatici della situazione: la pressione esercitata sull'opinione pubblica italiana con l'accaparramento di vari giornali da parte dei belligeranti, l'azione dei gruppi interventisti, l'influenza degli ambienti militari. Da una parte c'è l'Austria che rilutta a cedere parte del suo impero all'invisa vicina, in cambio di una neutralità che sembra già sostenuta da imponenti forze interne. Dall'altra l'Italia, in cui l'iniziale prevalente pacifismo mostra crepe sempre più vaste per tutto un mondo di ideali, di aspirazioni, di illusioni, di risentimenti , destatosi per iniziativa dell'interventismo democratico e delle correnti nazionaliste; e il governo va orientandosi sempre più verso il miglior offerente.
La Germania, grazie al suo ambasciatore voti Bulow, poteva rendersi conto realisticamente della situazione: impegnata come si sentiva in una lotto per l'egemonia europea, cercò di convincere in ogni modo l'alleata a cedere il Trentino all'Italia, decidendo addirittura di proporle in cambia nn proprio territorio (Sosnovice). Ma fra l'Austria e riluti domanda e offerta dovevano essere fatalmente sfasate: quando Vienna si decideva a trattare, Sennino aveva già concluso a Londra.
La relazione del Roscn, basata sullo studio attento delle opere di Francesco Nini e su una ricca bibliografia, consente di penetrare le ragioni politiche e culturali dell'atteggiamento del nostro statista (spesso frainteso) verso la Germania. Allorché il conflitto si ero rivelato in tutta la sua durezza, egli aveva recisamente condannato quale maggiore responsabile Firn peri aliamo tedesco (lo cui vocazione non riteneva fosse prerogativa del Kaiser e della classe militare, ma di tutto il popolo). Nel dopo*