Rassegna storica del Risorgimento

COSTITUZIONI SICILIA 1812
anno <1968>   pagina <33>
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Sul costituzionalismo siciliano
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di San Marco) e non sul modello del Gabinetto inglese, la coi autonomia dalle Camere era, almeno all'inizio dell'800, un dato di fatto; più tardi anche il costituzionalismo britannico recepirà gran parte dell'essenza e della prassi parlamelitarisik-a > continentale. E il volere conseguentemente fare della Ca­mera ereditaria dei Pari (l'ex Braccio militare} il centro della vita politica nazionale. Dopo la crisi del '14, la partenza del Bentinck, la morte del principe di Belmonte e la scissióne del partito costituzionale (da una parte Castelnuovo su posizioni moderate e dall'altra Aceto su posizioni radicali), la situazione cam­bia: Castelnuovo si avvicina alla Corte ed è disposto ad accettare alcuni principi della Charte francese di Luigi XVilI; il che significava rafforzamento dell'ese­cutivo e controllo di questo da parte della Corona, nonché subordinazione dei Comuni ai Pari. Nascono cosi i vari progetti di riforma della Costituzione del '12, elaborati nel '15, dalle trenta linee al progetto del Marchese Francesco Pasqualino (che lo Sciacca riporta in Appendice dopo averlo ricostruito su di una bozza inedita), tutti ispirati ai principi costituzionalistici della Restaura* zione, il cui fulcro era appunto la Charte del 1814.
E i democratici? 0, almeno, quel partito al quale dal Renda e dallo Sciacca, viene dato l'appellativo di democratico? E facciamo qui nostre le per* plessità del Berti *) nei confronti della legittimità di questo appellativo : non tanto per le idee da questi uomini espresse, quanto per il comportamento da essi mantenuto nella lotta politica, ivi compreso naturalmente l'avvicinamento alla Corte al culmine della crisi siciliana e la successiva presenza di parecchi di questi democratici tra gli aderenti al riformismo borbonico del quin­quennio posteriore alla Restaurazione; riformismo che aveva indubbiamente dei seri presupposti innovatori, ma non certo tali da indurre ad avvicinarsi ad esso degli autentici democratici. E qui, però, vale la pena di ricordare come gran parte della classe politica moderata siciliana, tra il '48 e il '60 ed oltre, provenisse dalle file dei democratici del '48, da Crispi a La Farina.
Comunque non è il caso di fare questioni di nomenclatura. Dedicando note* vole attenzione a questo partito, quale possa essere il nome che meglio gli con* venga, lo Sciacca tenta un raffronto con il giacobinismo siciliano; egli muove dalla constatazione che parecchi dei democratici ebbero contatti, in giovinezza, con i centri di fermentazione giacobina della Sicilia orientale; ciò, però, non lo induce a porre sullo stesso piano (anche se l'ipotesi,, in fondo, mostra di attirarlo!) i primi e i secondi; anzi lo esclude... magari con dispiacere! Pen­siamo che abbia fatto bene. Rileviamo, però, che avrebbe reso più organico il suo lavoro se avesse fissato anche la sua attenzione sui giacobini della Si­cilia occidentale, magari approfondendo questo aspetto con ricerche originali, dato che sulla questione, dopo le pagine del Cantimori, nessuno si è ancora seriamente soffermato. Lo stesso Giuseppe Berti che tanta attenzione ha dedicato al movimento democratico siciliano, ha praticamente evitato questa questione
Quanto poi al valore da attribuire al partito democratico di Gagliani e di Rossi (i cui programmi egli analizza minuziosamente nelle concordanze e nelle discordanze), lo Sciacca si mostra più circospetto del Renda nel trarre conclusioni positive dall'azione politica dei democratici stessi. Si limita, cioè, a mettere in evi* lenza gli aspetti costituzionalistici del programma democratico, in rapporto al costituzionalismo democratico francese, in antitesi al costituzionalismo di Bel* monte, Balsamo e Castelnuovo; a Bottolineare la prevalenza politica del potere
i) GIUSEPPE BERTI, op. tit.