Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1968>   pagina <78>
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labri e periodici
di pensiero liberali. Lo stesso Stella, nella sua inirnduzione, ricapitola i termini della moderna storiografìa sul Giansenismo e ricorda: Francesco Rullini, Ettore Rota, Ernesto Codignola e soprattutto Arturo Carlo Jemolo (autore tra l'altro di // gian~ nanismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari, 1928, opera veramente fondamentale) come i principali esponenti di quest'ultima.
Mentre il Rota fu il campione di una interpretazione politica del Gianse­nismo, concependolo come intimamente collegato ai primi aneliti di libertà, lo Jemolo insistette su di una interpretazione teologica e distinse una prima generazione di innovatori sottomessa al Papa ed ai vescovi, da una seconda ribelle (degli ultimi 30 anni del secolo XVIII).
Il Codignola dal canto suo, pubblicando i fondamentali Carteggi di giansenisti liguri (Firenze, 1941) volle superare tale distinzione e affermò che lo spirito gianse­nistico si deve considerare senz'altro un moto di pensiero anticonformistico e addi­rittura ribelle nei campi politico e religioso. I suoi diffusori intendevano comunque, più d'ogni altra cosa, affrancare le coscienze e la Chiesa stessa da quelle pastoie che il Concilio di Trento aveva imposto ai cattolici, onde reagire efficacemente alla disgregazione protestante.
In alcuni cast (ad esempio il de' Ricci) rivendicavano nna larghissima auto­nomia da Roma. Per giungere poi a storici più. recenti del periodo considerato, pos­siamo menzionare: Paolo Alatri, che tuttavia considera il Giansenismo unicamente come fatto eversivo nei riguardi della curia e perciò lo svaluta come movimento innovatore, ed Emilio Appolis.
Sta di fatto che il Giansenismo italiano, e questo è assodato, quando nel 1796 irruppero i Francesi a portare il lievito della grande rivoluzione, in maggioranza si schierò in favore del nuovo ordine, sperando che alfine fosse giunto il momento della sospirata riforma religiosa e si potesse guidare la società verso un genuino progresso (che non fosse anti-cristiano). Anche se in un secondo tempo, per svariate ragioni, tale atteggiamento mutò, i giansenisti rimasero pur sempre tra i più preparati all'instaurazione di una nuova società e quindi di un nuovo spirito pub­blico (si pensi all'atteggiamento del Tamburini e dello Zola, chiari docenti dell'Ateneo pavese, non solo dopo il 1796, ma prima ancora nel 1794, quando insieme ad altri colleghi parteciparono a sedute patriottiche che attirarono le ire dell'Austria). Essi si erano formati nel clima del dispotismo illuminato, ma avevano compreso la limi­tatezza delle riforme concesse dall'alto: e se non potevano accettare il giacobinismo tipo 1793, erano in grado di aderire, tranne eccezioni, al nuovo impero neo-carolingio di Napoleone. Tanfo vero che furono visti di malocchio dopo il 1815.
Notevoli furono le piccole e le grandi ripercussioni del pensiero dei continuatori di Port Rovai sul Manzoni, sulla famiglia Cavour, sul Santarosa, sul Rosmini e su decine e decine di protagonisti di rilievo della scena storica italiana del XIX secolo.
Per ritornare all'argomento trattato nel volume in questione, dobbiamo ricordare i regni dì Vittorio Amedeo TI e Carlo Emanuele IH e lo politica da questi ultimi seguita nei confronti dei giansenisti. Ebbene: mentre Vittorio verso la fine del suo Regno si dimostrò ostile, in quanto patrocinava uno Stato centralizzato e retto auto­ritariamente sulla base della ortodossia più rigorosa, Carlo si rivelò più tollerante.
Tra i protagonisti del movimento giansenistico piemontese è giusto menzionare prima di tutti: il cardinale delle Lonze (che nel 1763 rinnegò, però, i suoi principi onti-curinliHti ed anti-gesuitici), Gaspare Nizzia e Giacomo Michele Bentivoglio. Di essi lo Stella ha appunto pubblicato gli. interessanti carteggi, che riguardano preva­lentemente argomenti religiosi ma che forniscono anche altri spunti.
La córrente giansenistica aveva un prolettore nel cavalier Ossorio, ministro per gli affari esteri, die meditava d'attuare un programma laicista ad imitazione di quanto rompiuto dalle corti del Lorena, dei Borboni e degli Asburgo.
GIANFRANCO DB PAOLI