Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1968>   pagina <85>
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Libri e periodici
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vomente; ma mi pare che i dati esposti siano estremamente significativi come ele­menti di base.
Del resto neanche nei campi economico e politico, gli stadi esistenti hanno finora portato a conclusioni definitive.
È certo che l'epoca 1796-1814 è un'eià-chiave: in una società sempre di tipo agricolo si posero le basi per vaste trasformazioni di carattere politico, giuridico sociale, amministrativo ed economico,
I fermenti e le riforme dell'assolutismo illuminato, furono ben lontani dall'inci-dérn cosi profondamente nella struttura di un popolo e quindi sui destini di una nazione.
GIANFRANCO DE PAOLI
MARINO MENCARELLI, L'abate Raffaele Marchesi 1810-1871 - 1 tempi, la vita, l'opera, presentazione di Giovanni Cecchini; Padova, Rebellato, 1965, in 8, pp. 374. L. 4.500.
Si tratta di un medaglione biografico di gasto prevalentemente e quasi del tutto eru­dito su una personalità provinciale di second'ordine il cui interesse consiste soltanto, non già, come crede l'A., nella sodezza pedagogica o nell'animus patriottico indifferenziato, ma Dell'essersi trovata a sfiorare (e purtroppo non più che tanto) un paio dei più ingenti movimenti d'opinione e di cultura del secolo scorso, come il giobertismo e la ten­denza concilialo risia nazionale che prese nome e verbo da Passaglia. 11 Marchesi si annovera, senza soverchia originalità, e su posizioni politiche quanto mai circospette tra i simpatizzanti innumerevoli di tali tendenze, intepidendo gradualmente il suo zelo patriottico sino a non prender parte al plebiscito dopo che, viceversa, il Quaran­totto lo aveva visto crociato fremebondo e poco concludente al seguito del Gavazzi in una delle legioni romane. Senonché tale interesse si accentua per il chiaroscuro in cui il Marchesi va visto ed inquadrato, da un lato l'arcivescovo Pecci, dall'altro il moderatismo liberale umbro che fa capo al Gualterio. Questi sono in realtà, e non il Marchesi, gli autentici, obiettivi protagonisti del volume, che nel buon abate di Magione si rispecchiano soltanto in modo più o meno incisivo e significante. È gran peccato, dunque, che l'A. non se n'avveda troppo, tutto preso com'è dal suo profilo bio­grafico che di tanto in tanto, provvidenzialmente, gli si sfrangia tra le mani, dan­dogli modo di documentare il filogiobertismo del Pecci, e poi il suo irrigidi­mento post-quarantottesco, ed infine il notevolissimo screzio con l'intransigente D'Andrea. Quanto ai moderati, purtroppo, le cose vanno peggio, perché non ci sono documenti atti ad illuminare sul prepotere civile ed economico dei Faina, su quel suggestivo filone tecnico, riformatore, ingegneresco ed agro­nomico che dal Gabriele Calindri della Restaurazione (una famiglia, questa, che richiederebbe forse uno studio monografico) corre fino a Coriolano Monti, uno dei principali responsabili dell'assetto ferroviario dell'Italia centrale post-unitaria, con risultati, evidentemente, che non attengono solo al campo dei lavori pubblici. A tutto ciò, peraltro, l'A. è pregiudìzi al mente sordo, chiuso com'è in una visione < risor­gimentale ? delle cose, per cui l'oscurantismo clericale e la demagogia garibaldina sono i due principali avversari da abbattere. Da ciò un'andatura solenne, aulica, del discorso, un'abbondanza di excursus e di citazioni copiosissime, un gran numero di riflessioni moralistiche che spesso annacquano o tolgono comunque vigore ad una ri­cerca limpida, lucida, diligente, e condotta con rimarchevole comprensione per il per­sonaggio trattato.
RAFFAELE COIAPIBTRA