Rassegna storica del Risorgimento
GUERRA MONDIALE 1914-1918
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1968
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591
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Fra Isonzo e Piave nelVautunno 1917
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Risposi : < Quell'uomo, Eccellenza, ha lavorato e sofferto per una responsabilità immane e non san. D'altra parte non si tratta qui di persone ma del Paese ed orge provvedere. Egli si sottrasse alle mie insistenze gridando: Non darò nulla ed io gli dichiarai che avrei provveduto altrimenti. Proseguii per Padova; riferii la situazione al Generalissimo, ma non ebbi cuore e (forse ebbi torto) di esporre quanto era accaduto fra me e il Comandante della 4a Armata. Alle esigenze del momento verso Croce di Fadalto aveva trovato intanto modo di provvedere direttamente il Generale Momuori, mentre il Comando Supremo ordinava alla 4a Armata di disporre. La famosa risposta, indegna risposta di quel Comandante non pervenne mai, né al Generale Montuori, né al Comando Supremo. Vi dirò un giorno il nome di quel Comandante.
Ho voluto riportare questo particolare perché si riconnette alle difficoltà che dovette affrontare e superare Cadorna nel dirigere e portare a compimento la ritirata. Quel comandante era il generale Nicolis di Robilant che, non rendendosi conto della gravità della situazione generale si era illuso in un primo tempo di poter conservare il Cadore e limitarsi a ripiegare la sua ala destra e poi ritardò l'esecuzione dell'ordine di ritirata, per portare a salvamento maggior quantità di artiglierie, mettendo a repentaglio la tempestiva effettuazione della complessa manovra di ritirata.
La sua fu una vera e propria disobbedienza e Cadorna ne aveva già predisposto l'allontanamento dal comando della 4a armata, quando gli giunse inopinatamente l'annuncio della propria sostituzione e il generale Ferrerò scrive che fu atterrato dalla notizia .
Neanche la prosa del generale Ferrerò si discosta da quella burocratica dei rapporti di ufficio e, pur essendo rivolta ai figli, rifugge da svolazzi di forma e da amplificazioni retoriche, riporta i fatti come li vide da vicino, quasi volendo evitare di mettere in risalto la notevolissima importanza dell'opera compiuta; la sua è, come quella del generale Papini, una cronaca che serve di base alla storia.
H Maresciallo Caviglia scrisse che era uno splendido tipo di soldato che ai trovava in quello stato eroico nel quale si teme che tutti i consigli e tutte le richieste tendano a diminuire la fiducia nella resistenza e inducano a debolezze . In verità, come dimostrò in altre occasioni e segnatamente in Albania, era un comandante nel più alto senso del termine, pronto ad obbedire ai suoi superiori, ma decitsamente restio a dividere il comando e quindi la responsabilità con altri; era connaturato nel suo animo l'indefettibile sentimento del dovere e ricevuta una missione doveva portarla a compimento. Quella che egli stesso s'era andata a cercare, durante la ritirata dall'Isonzo, era estremamente ardua e solo con quel modo di sentire poteva essere espletata, e in modo egregio, com'egli fece. Cito ancora Caviglia: fu il generale eroico che salvò l'ala destra della 2a armata; ma non solo quella aggiungo che egli seppe frapporre un valido schermo fra il fianco sinistro della 3" Armata sia contro il nemico irrompente, eia con la massa degli sbandati e dei profughi, sì da impedire che questa propagasse il suo contagio e che reparti ancora ordinati e compatti vi si frammischiassero, ne venissero inghiottiti e in essa si confondessero e si scio* gliessero, come piombo in una fornace. Occorreva agire con energia, con tatto, con coraggio personale, fisico e morale, ed il generale Ferrerò instancabilmente si portò da un capo all'altro del fluttuante scacchiere operativo, ovunque la sua azione potesse essere necessaria o semplicemente opportuna.