Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDINI; GUERRA DEL 1866; PERSIANI CARLO TOMMASO
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1969
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// diario del 1866 di C. Persiani
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Tedeschi che avevano passati i confini e s'erano introdotti sul nostro territorio passando per Bagolino e ponte Caffare
Secondo le voci che correvano nella compagnia, andavamo a chiudere una cinquantina di Tedeschi in Sant'Antonio per farli prigionieri, ma poi fu ben differente. Cominciò verso mezzodì a piovere, e coU'acqua riprendemmo il cammino. Marciavamo in cresta di montagna e dopo due ore e mezza circa di cammino, allorché eravamo quasi in cima aopra Sant'Antonio, si sentirono al basso della montagna diversi colpi di fucile che spesseggiano più si stava aspettando. Eravamo ansiosi di provare le nostre carabine cariche da quindici o venti giorni. Sulla strada maestra al basso del monte vediamo avanzarsi una colonna di Garibaldini a tutta corsa; e noi che facciamo? si diceva. Uno sbaglio fu allora commesso dal Capitano di Stato Maggiore... invece di por tarci alle spalle del nemico continuando di mezz'ora ancora la marcia per prenderlo dietro, ordina al basso a passo di corsa: andammo, era il nostro piacere. Una salve di fucilate ci aspettava: eravamo 20 di avanguardia, retro* cedemmo fortunatamente senza che nessuno lamentasse ferite, aspettammo il resto della compagnia, che giunta ci facemmo avanti; cominciò allora il fuoco da tutte le parti; sullo stradale i Rossi ' ' vanno alla baionetta, il nemico rincula, un grido di vittoria si fa allora sentire. Durò poco però, che i Tedeschi appostati per la montagna e sotto la strada, quando i Garibaldini facevano rinculare il nemico sullo stradale, li presero di fianco, e i nostri furono obbligati a retrocedere, con molte perdite. Dne barchette nel lago portavano un cannone e tuonavano senza posa, furon quelle, che tennero a rispetto il nemico, che non aveva cannoni. Il fuoco si faceva sempre più gagliardo, e già diversi amici non eran più, quando ci vedemmo presi di fianco; il Maggiore2) s'accorse allora dello sbaglio, ed ordinò riprendere la sommità della montagna abbandonata 3 ore prima. Ubbidimmo al comando ed eccoci a salire procurando di abbassarci per non essere veduti dal nemico e caricando e sparando; ma eravamo stanchi ed affamati, per quel giorno non avevamo visto viveri: erano circa le 6 e 1/2 pomeridiane. Diffìcile ci riusciva la salita, tanto più che da tutte le parti sifolavano le palle. In quel mentre Bellegrandi8) mi cade vicino, con una palla nell'occhio, senza proferire più una parola. Si comanda l'alt ed eccoci nuovamente di fronte al nemico. Tutto ad un tratto, quando le sorti del combattimento non erano ancora decise, ecco arrotolarsi sopra di noi sassi enormi, che il nemico ci mandava dalla sommità: bisognò ritirarci, e molto malconci. Si suonò come per incanto dalle due parti la ritirata. Scendemmo al basso sullo stradale: era sul far della notte. La vittoria non fu di nessuno, anzi si potè dir nostra, perché il nemico passò al di là del Caffaro e noi al domani andammo avanti. Poteva questo combattimento esser per noi splendida vittoria, se non succedeva il forte sbaglio di farci prima scendere per poi risalire senza arrivare alla sommità, della quale il nemico si era impossessato visto che noi l'avevamo abbandonata. In quel giorno della nostra compagnia 30 circa furono i feriti, nove o dieci i morti, fra i
*) Cioè f reparti garibaldini, che indossavano la camicia rossa. L'uniforme dei Bersaglieri Volontari era invece interamente grigia, con brevi bordini in nero.
2) Il riferimento è, con ratta evidenza, ad Antonio Mosto.
8) Relativamente al Bellegrandi (che aveva nome Emilio ed era nativo di Brescia) rfr. il profilo tracciatone da D. MONTINI, in Dizionario del Risorgimento oit., voi. Il, p. 222.