Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDINI; GUERRA DEL 1866; PERSIANI CARLO TOMMASO
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Il diario del 1866 di Ci Persiani
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dirlo, in quella casa trovammo di tutto e polli e nova e vino e pane buono. La nostra bella alhcrgatrice ci si prestava con tutto il suo saper fare e era gentile e cortese; noi, dal canto nostro, non cessavamo di ricompensarla largamente de' suoi servigi, in vista anche di rendersela nostra per tutti i modi, e ci riuscimmo. Dessa era bella, e quella capigliatura, quel modo di vestire in corto la rendeva più bella ancora. Quando si capiva che Io zio potea arrivare, le auguravamo buona notte, si andava a passeggiare, quindi nella cascina. Per il domani la bella Giustina era il suo nome ci doveva preparare i becchi-storti presi dallo zio al roccolo, ma eravamo troppo felici, e tanta felicità non poteva durare, così almeno succede quando non s'è stabili.
Il domani verso mezzogiorno, 7 Luglio, terminavamo di mangiare un buon brodo di pollo, quando si sente suonare la riunione della 1" Compagnia. Si corre a quartiere, siamo in fila e il nostro capitano dice che i primi due plotoni sono destinati d'avamposti. Fatalità, tocca proprio a noi, meno male che ritornavamo il domani a mezzogiorno. Si scende in paese col lenente, due plotoni soli; e fortuna vuole che ci fermiamo precisamente sotto le finestre di Giustina, aspettando la guida. Essa in quel frattempo ci mostra dalla finestra i becchi-storti, ed io le dico che li prepari per il domani alle due, persuaso come tutti di ritornare a mezzogiorno mediante rilievo di qualche altro plotone. La salutiamo e in marcia avanti. Si cammina sino alle due, e ci fanno fare alt sul monte Ricco dominante la vallata del Chiese in grande estensione. Passa mezzodì del domani, e quello del giorno appresso e nessun ordine, bisogna conservare il posto, e rinunciare con nostro gran rincrescimento ai becchi storti.
10 Luglio. Io dormivo nella nostra piccola baracca di frasche che solita* vamo farci, quando mi sento dagli amici svegliare, e mi sembra udir schioppettate: domando, e m'accorgo che non m'inganno. Sto su, salto alla carabina: tutti erano già al loro posto; vi corro anch'io. Comincia il fuoco; la nostra posizione all'alto ci permetteva di offendere senza essere offesi; era pur bella cosa. I Tedeschi erano al basso: i Garibaldini, due o tre compagnie sole, occn-pavano pure al basso Lodrone, che sembrava sotto i nostri piedi. Un fuoco accanito cominciò coi Rossi: troppo inferiori di numero, dovettero retrocedere. Il segnale di fuoco ci fu dato quando il nemico ci fu proprio sotto e ci presentava il fianco inseguendo i Rossi. Dapprima rimasero come attoniti, e cercavano da dove veniva il fuoco; si fermarono. Noi eravamo imboscati e non ci vedevano; intanto i nostri colpi molto li danneggiavano; non sapevano a che partito appigliarsi, quando ad un tratto voltarono le spalle, e si diedero alla fuga. I Rossi allora a correre loro dietro fu tutt'nno, quelli dovevano traversare il fiume Chiese, e molti caddero con gran pericolo della vita; infatti ebbero molte perdite. Dei Rossi vi furono diversi prigionieri, molti feriti e qualche morto: dei nostri due plotoni non ebbimo a deplorare la benché minima ferita, visto che le palle nemiche non arrivavano a noi. Così finì il coni* battimento del giorno 10, detto di Lodrone, dopo due ore di fuoco.
11 Luglio. I Tedeschi ritiratisi, si marcia avanti diretti al monte Bestia posto sopra Darzo, un'ora più in su di Lodrone, per stradale, tre o quattro per montagna. Si ebbe qui a soffrire molta fame, per la difficoltà di trasportar viveri e ci toccò mangiare carne di manzo, brustoliui sulla brace, gocciolante ancora di sangue; colla fame si mangia tutto, e quella carne ci pareva manna. Il manzo fu sequestrato sul monte, dove era un pascolo.