Rassegna storica del Risorgimento

SOCIET? SOLFERINO E SAN MARTINO
anno <1970>   pagina <117>
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Libri e periadici
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sfasciarsi in pochi giorni fece cito Ilare l'ipotesi che l'intervento dovesse aver luogo di li a tre mesi. Ne seguirono l'armistizio Salasco (armistizio vergognoso) e la media* adone anglo-francese fratto della ingiustificata diffidenza della monarchia sabauda verso il Governo di Parigi, e dell'abile opera di Normanby il quale riuscì, interpretando benissimo il pensiero di Lord Palmerston, ad imbrigliare le mosse militari francesi, mosse che, come dimostra l'A. (pp. 201 e 205-208), erano state predisposte per entrare in Italia. Su tutta onesta parte, trattata con grande diligenza ed ampia docu­mentazione, non solo non vi sono appunti da muovere; anzi è da ammirarsi il modo col quale FA. maneggia ì diversi fili: negoziati a Parigi, opinione pubblica francese, azione del governo sardo, opinione dei Lombardi etc. Vi è pure da considerare l'im­postazione disinteressata data, in quel momento, dal governo francese al suo pro­gettato intervento in Italia. L'unica cosa che mi lascia perplesso è sulla reale sulla effettiva volontà del governo francese di intervenire. A queste perplessità inducono alcune considerazioni: l'esistenza dello stato di assedio in Francia, la necessità di te­nere a Parigi 50.000 uomini per motivi di polìtica interna (p. 253), le difficoltà finan­ziarie del governo provvisorio (p. 223), l'esistenza di un esercito di Radelzky non più avvilito e demoralizzato come nel marzo del 1848, ma baldanzoso per le vittorie ripor­tate ed ammontate ormai secondo il rapporto di de Reiset del 7 agosto (p. 219) a 130.000 uomini: non erano tutti questi elementi che costituivano un ostacolo all'in­tervento francese in Italia? (p. 255). Come il Governo di Carlo Alberto fingeva di voler Paiuto della repubblica (ma in realtà sono d'accordo col Boyer non lo voleva) non si può pensare che il governo francese minacciasse l'intervento per motivi di politica interna, facesse risuonare il tintinnio delle spade e degli speroni dcìTArmée des Alpes, ma in realtà conscio degli ostacoli (validissimi ostacoli sopra menzionati) fosse lietissimo che il Piemonte ponesse tali condizioni, tali difficoltà all'intervento per poter dare la colpa al governo di Torino della sua mancata attuazione? E non è ragio­nevole pensare che la mediazione inglese fosse la benvenuta, perché se salvava > il Piemonte dalla richiesta di intervento, salvava la Francia dalTeffettuare una cosa ch'essa era ben lieta di non effettuare? Che la mediazione fosse molto ben vista dal Cavaignac parrebbe risultare dalla prudenza con cui egli si rifiutò di sottoscrivere, alla fine di agosto, una convenzione con la Sardegna per timore di urtare la neonata amicizia con l'Inghilterra (p. 252) ch'era la cosa che stava maggiormente a cuore ai gover­nanti francesi (e, secondo me, con ragione).
Cavaignac stesso, non aveva interesse a non presentarsi alle elezioni presidenziali come responsabile d'una guerra difficile? (p. 253).
Non fu insomma tutta la storia del mancato intervento francese nel '48 una com­media di cui i protagonisti furono non solo i Piemontesi ma anche i Francesi? Niente di disonorevole né per gli uni, né per gli altri. Entrambe le partì avevano i loro validi motivi per volere le cose in un certo modo e per dover salvare la faccia pre­sentandole in un altro; una sottile schermaglia, degna di abili diplomatici in cui i vincitori effettivi (e qui concordo con FA.) furono gli Inglesi, timorosissimi che un intervento francese piombasse l'Europa in una guerra generale, rivoluzionaria per di più.
Si iniziava a mezzo agosto l'azione diplomatica della mediazione, di quella me­diazione che i contemporanei, ad un certo momento, chiamarono e la commedia della mediazione. Anche di questo episodio l'A. esamina con molta cura gli aspetti fondamentali: Il tentativo inglese di imbrigliare qualsiasi iniziativa francese, quello austriaco di sottrarsi alla soluzione diplomatica del conflitto ricorrendo a mille espe­dienti nei quali il Wessonherg dimostrò perìzia di consumato diplomatico; l'equi­voco iniziale che doveva far fallire l'iniziativa e cioè la protesa anglo-francese di prender per base della mediazione un documento (il memorandum Btraraielauer del 24 maggio) che proposto da parte austriaca quando l'Austria perdeva la guerra, non