Rassegna storica del Risorgimento
GUERRAZZI FRANCESCO DOMENICO
anno
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1970
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pagina
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602
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Enrico Berti
Ma il Granduca aveva scritto al Montanelli: Nel lasciar Siena non creda che sia in me il progetto di abbandonar la Toscana, cui sono troppo affezionato! .
Resta da sottolineare la personale propensione del Ricasoli, fermo re* Stando quanto si è già osservato, a mettere, ciò non ostante, in libertà il Guerrazzi, ove questi lo avesse volato, per mantener la parola già datagli di lasciarlo libero di andarsene, sia pure fuor di Toscana ed infine la sua convinzione che al tempo stesso era un saggio ed autorevole consiglio che il Granduca non volesse perder l'occasione stupenda di inaugurar il suo regno con un atto di oblio del passato .
Come si è visto, il Guerrazzi non disconosce che, nonostante ogni con traria considerazione, il Ricasoli era propenso a dimetterlo dal Belvedere, ma che altri si opponesse e fece prevalere il contrario partito: egli lavarsene le mani. Se ciò basti a purgarlo, altri giudichi, non io ... . Ma viceversa subito aggiunge: Sembra però che ad uomo retto davvero doveva riuscire abominevole la compagnia dei fedifraghi ed iniqui . E qui è appena il caso di osservare: Ricasoli faceva parte di una Commissione governativa, di un collegio che, in maggioranza, fn di parer contrario al suo, quantunque fosse egli stesso, giustamente, molto perplesso in proposito; che poteva fare se non inchinarsi, democraticamente, alla decisione della maggioranza?
Quanto all'accusa di tradimento o, quanto meno, di mancanza di parola formulata anche dal gen. Zannetti, riteniamo di averne dimostrata più sopra tutta la inconsistenza.
Quanto alla Viviani della Robbia, essa, come si è visto, si limita a dire che nel '59 il Cambray Digny fu escluso dal ministero Boncompagni perché si era reso impopolare per la mancata promessa fatta al Guerrazzi di non arrestarlo nell'aprile del '49 , e si è visto che di arresto non si può parlare in quei due o tre giorni in cui avvennero i contatti fra lui ed il Guerrazzi; quanto poi al Ricasoli la Viviani non lo nomina affatto.
Anche il Corsi, che difese l'ex dittatore con ammirevole zelo, insuperabile diligenza ed alta sapienza giuridica dinanzi alla Corte Regia, sostenendo, come già si è detto, con forti argomenti la carenza di giurisdizione di questa, affermò ch'egli era stato ritenuto in Palazzo Vecchio (e si è documentato, con precisi riferimenti all' Apologia , che invece, egli era stato ripetutamente invitato ad andarsene) per trattare della sua gita a Livorno; ed affermò anche che poi la Commissione governativa non aveva mantenuto la promessa di munirlo di passaporto e di mandarlo all'estero; vero, questo; ma si è anche visto quando e perché ciò non avvenne nei pochi giorni, del resto, in cui essa restò in carica, fino, cioè, alla venula del Serristori.
Siamo ben consapevoli della opportunità di non fare un troppo lungo di* scorso; ma riconosciamo altresì il dovere di non trascurare volontariamente alcun elemento che ci risulti essere stato addotto a dimostrare il rimorso di coscienza che proprio il capo della Commissione, Gino Capponi, senti quando il Guerrazzi cadde in mano degli Austriaci, Come ricordò il nostro compianto egregio amico ultraguerrazziano Adolfo Mangini, figlio dì Antonio, intimissimo del tribuno, il Capponi scrisse: Quando il Guerrazzi corse pericolo di esser fucilato dagli Austriaci, a quell'annunzio mi prese una febbrile agitazione che la maggiore non ebbi mai; corsi al Palagio e, come Dio volle, trovato solo il Commissario con parole concitate gli posi innanzi la infamia che da quel san*