Rassegna storica del Risorgimento
PITTAVINO BONFIGLIO; SANTA ROSA PIETRO DE ROSSI DI; STATO E CHI
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1971
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40 Gian Biagio Furiozzi
VI
Torino, il 27 Aprile 1850 Monsignor mio car.mo
Avrei voluto prima d'ora rispondere alla Sua Riv.ma del 23 corrente, ma in questi passati giorni non ho avuto un momento solo di libertà. Ieri ancora p.e. dalle 9 ore del mattino tra commissioni, consigli e camera fui permanente a continua discussione sino alle ore 4 della sera. Poi dal Re, poi la sera ancora in consiglio. I giorni passano per me senza quasi accorgermi di vivere, se non fosse dalla stanchezza che talvolta m'opprime. In mezzo a queste sempre crescenti preoccupazioni e continua tensione del pensiero la mia salute tuttavia migliorò di molto, i miei nervi mi lasciano in riposo e da un mese dormo saporitamente e così ricevo un gran ristoro e conforto, che va via Scemando l'estrema mia debolezza. Talvolta però mi riesce tanto ingrato il duro mio mestiere presente, che avrei gran voglia di abbandonarlo, ma poi tiro innanzi alla meglio, e m'arrovello di veder la gran energia altrui, che con ogni argomento cerco di stimolare ma anche con poco frutto per la stanchezza degli animi.
A non ritardar più la mia risposta alla S.V. IH.ma e Rev.ma sono costretto a scrivere la presente mentre presiedo una Commissione, e si leggono delle relazioni, e si discute e si delibera e si combatte a parole e si fa un chiasso dell'altro mondo. Non so quindi quale limpidezza e connessione di concetto porterà questa mia, che sono costretto a lanciar sulla via vestita piuttosto da sgualdrina che come persona civile e pulita.
Vengo adunque al grave e serio argomento della mia lettera. H ministero non ha creduto, in ordine alla legge sull'abolizione del foro eccles. o di dover emanare nessuna istruzione o informazione al clero per un motivo semplicissimo. Il parlamento ed il Re hanno sancita una legge, il potere esecutivo l'ha pubblicata, è dunque divenuta obbligatoria per tutti; la legge è tanto chiara che non ha mestieri di commenti e dì spiegazioni, così non pare fosse necessario di dire al clero pensate ad informarvi al prescritto di questa legge.
Il ministero perciò oltre al non veder motivo di spiegarsi in proposito n'ebbe uno per non ispiegarsi derivante da ciò, che il diriggere una circolare al clero per ammonirlo all'obbedienza, sarebbe stato un supporre che potesse dubitare dell'obbligo che aveva d'ubbidire, e il ministero avrebbe così dato prova di un'incertezza che avrebbe piuttosto provocate opposizioni invece di conciliare sommessione.
Ma sorse il triste caso dell'arciv. di Torino, il quale se si riduce al fatto speciale suo proprio, tornerà a maggior danno della sua già tanto vilipesa riputazione, ma ove, come si dubita, fosse una iniziativa od una dimostrazione che sarà accresciuta dal concorso dell'Episcopato sarebbe il caso più sventurato che si possa immaginare. Comunque il governo, questo è certo, non transigerà mai su questo proposito, e così purtroppo l'are, verrà tradotto ai tribunali, con danno gravissimo dell'autorità personale di quel prelato, non che del rispetto dovuto alla Religione. Il governo del Re, mentre vorrebbe aumentare l'autorità e l'influenza della Religione nel popolo, si affanna e si rammarica purtroppo di vedersi costretto a subordinarla alle competenze dei tribunali. Il discredito che ne può derivare sarà tutto a carico del prelato che primo volle dare questo abboni inevoltt esempio di cieca e persistente opposizione. Laonde io credo, giacché