Rassegna storica del Risorgimento
PITTAVINO BONFIGLIO; SANTA ROSA PIETRO DE ROSSI DI; STATO E CHI
anno
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1971
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42 Gian Biagio Furiassi
>a è una nuova confessione che a lei, come ad antico mio padre spirituale ed amico io faccio, attendendone un conforto di consiglio, un parere che possa riferire anche al Ghiringhello per sua tranquillità, come me ne espresse il desiderio. Dopo queste premesse, passo alla concisa e netta esposizione dei fatti.
Il giorno dell'Ascensione trovandomi assalito da un nuovo insulto di sangue al petto, avvisai, come ho stampato nella mia dichiarazione, i miei colleglli dell'accadutomi facendo loro conoscere come la mia delicatezza volesse ch'io lasciassi, un ufficio che la mia salute m'impediva così spesso di esercitare. Essi ricusarono; io mi acquetai né pensai più ad altro. Più tardi dopo un nuovo e più gagliardo insulto, senza credere però che avessi a soccombere, pensando che ancora aveva da far la Pasqua dissi a mia moglie di far chiamare il sior Durando. Questi era assente; allora feci pregare il Ghiringhello. Venne e mi confessai. In questa confessione dopo le solite cose volli anche parlare dei fatti del Ministero per la legge del foro a cui presi parte. Dissi che vi aveva riflettuto prima, che m'era consigliato con V.S. Rev.ma e che non mi rimaneva scrupolo in proposito. Qui, ben inteso, non entrava la questione del processo dell'Arcivescovo, fatto indipendente dal Ministero, ma tutto proprio alla magistratura; qualunque fosse la mia opinione in proposito io non vi aveva partecipato, né poteva esserne risponsale.] Al Ghiringhello faceva però qualche scrupolo una cosa, quella cioè di aver dovuto il Ministero nel promuovere la legge del foro far risultare alla riluttanza pertinace del Papa, o della poca buona fede della corte Romana, nel che pare va gli il Ministero aver cooperato a scredi* tare nell'opinione dei fedeli il capo della chiesa. Dovetti allora confessargli dai fatti dalla sequela delle pratiche anteriori, da tutti gli argomenti dedotti dalla storia e dalla esperienza aver dovuto convincermi non esser mai né il Papa né lacorte di Roma per calare con noi a verun accordo, se non ad opera compiuta; quindi aver creduto obbligo mio di unire i miei sforzi a quei dei Colleghi pel compimento d'un fatto giusto in se, ed indispensabile alle condizioni politiche e civili del Paese. [Dopo ciò mi diede l'assoluzione senz'altea discussione, e mi consegnò il biglietto per la Parrocchia. Io poi sospesi sino al sabbato il Viatico, che mi fu portato da S. Carlo, e, come ho scritto nella mia protesta il Vicecurato in quell'occasione mi fece con poca discrezione e discernimento quella interrogazione da me pubblicata. Anzi io non ho detto tutto per non aggravar la sua imprudenza; perché quel buon uomo aggiunse ancora, che ove avessi cooperato a quelle cose contro la mia coscienza avrei dovuto ritrattarmi davanti a quella gente che aveva invaso la camera seguitando il Santissimo, al che soggiunsi dopo aver ripetuto che nulla aveva a ritrattare, che io era anzi pronto a ripetere al domani che aveva fatto prima, giacché lo aveva fatto in tutta coscienza.
Or Elia avrà saputo, se ha letto l'Armonia e gli altri giornali, tutte le dicerie che, in proposito di ciò si spacciarono. Qui forse mi debbo accusare di un'imprudenza. Il discorso tra il Vicecurato e me era stato udito da mia moglie, avrei potuto inculcarle di tacerlo, e tacerlo anch'io. Ma ignorando come già in quel frattempo si fosse detto che io era stato viatico al sabbato solamente perché il venerdì era stato speso in corse dall'arciv. per ottenere il permesso dell'assoluzione, quello permesso accordava solo a patto della mia pronta demissione, io che ignorava tali pettegolezzi, ho ripetuto a qualche amico la dabbenaggine del Vice Curato. Da uno a due a tre la cosa si propalò; tanto più che in quei giorni giravano per casa mia alcuni zelanti reazionari! ed amici dell'armonio, quindi si ricamò ampiamente su quel tessuto, si inventò