Rassegna storica del Risorgimento
PITTAVINO BONFIGLIO; SANTA ROSA PIETRO DE ROSSI DI; STATO E CHI
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1971
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Pietro di Santa Rosa
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In quanto a Roma già si prevedeva che all'allocuzione in concistoro avrebbe il Papa dato sfogo alle lagrime e si sarebbe commosse le viscere prò forma, col tempo e con qualche ufficio di buona volontà tornerà alla solita letìzia spirituale, il fatto intanto rimati fatto, e qui confesso ingenuamente non credere (quando pure il Papa avesse l'imprudenza di farlo) possa giustamente il Papa per quella legge scomunicarci, e se lo facesse lascerei a Dio il giudicarne.
Circa l'Arcivescovo, come dissi, il Ministero non si arrischiò nel fatto del suo arresto né del processo. La legge essendo promulgata, la sua esecuzione è di attribuzione della magistratura, l'Arcivescovo la violò come doveva fare la magistratura? Lasciar che quella pazza testa di Fransoni la violasse impunemente, lasciar che quell'uomo disprezzi il governo, conculchi i diritti dell'auto* rità civile, si creda in diritto di arrestare il corso della giustizia, e di esercitare una manifesta ostilità di atti contro il governo? Io son ben contento, di non aver avuto partecipazione a quell'arresto né a quel processo, ma se invece d'essere ministro fossi stato magistrato, io lo confesso ingenuamente, avrei fatto il mio dovere, avrei vendicato la legge violata e conculcata e disprezzata dall'imprudente e sconsigliato prelato.
Con tutto ciò siccome sappiamo benissimo che Fransoni non s'acqueterà per questo, e sarà pronto a rinnovare chi sa quanti altri atti illegali col merito di farsi martire, il ministero a fronte del discredito che ne deriva all'autorità spirituale dell'Episcopato, così necessaria a mantener rispettata, e dall'altro del dovere di mantener inconcussa l'autorità della legge è pronto anche con qualche illegalità a provvedere in futuro in modo, che Monsignore non possa piò ostilmente operare, e non venga più fatto segno dell'intemperanti benché meritati sfregi della stampa e dell'opinione pubblica. Quando la legalità nuoce alla vita sociale, è meglio commettere qualche illegalità che salvi i danni di tutti.
Così io mi rimarrò, finché la salute me lo comporti, al ministero, collo scopo, ve l'assicuro, di conciliare il meglio ch'io sappia gl'interessi della Religione e del governo; nel che son d'accordo tutti i miei colleghi, lo creda pure, anche Siccardi, che mostra talvolta ancor qualche amarezza nel cuore contro le ostilità del clero.
[Ella condanna poi la mia dichiarazione. Io son d'accordo con lei se la considero come fatto isolato, ma se pondererà bene ogni cosa, senza lodarla, il che non faccio neppur io, mi compatirà se l'ho fatta, almeno come conseguenza inevitabile d'un mio primo errore o imprudenza.
Come le scrissi, ho avuto il torto primo, di narrare a qualche amico l'accaduto tra il Vice Parroco e me nell'atto che doveva viaticarmi. Qui fu il vero mio fallo; non vi sarei incorso se fin d'allora avessi conosciuto le tante fole che già si diramavano sul mio conto. La cosa fu ripetuta e poco per volta snaturata e divulgata in ben altri termini. Si disse che Ghiri righello non mi aveva assolto, e che era corso dall'Àrciv. a domandarne facoltà, che gli fu accordata a patto ch'io uscissi dal Ministero e mi ritrattassi. Fu detto da altri che il Vice Curato, che dicevasi dai più il Curato, mi aveva nell'atto del viaticarmi intimata la ritrattazione, e ch'io l'aveva l'alta. Altri aggiungeva nuove aggiunte, nuove circostanze a questa intimazione, si diceva anche che m'avevano vinti-caio in apparenza, non in realtà. La mia casa era venuta a frequentarsi da tali individui, manifestatisi ad un tratto zelanti di me, a cui prima non pensavano nemmeno, perché mi credevano pentito; mi abbandonarono quando conobbero la mia impenitenza. Era un bel dire da* miei amici che non m'era dimesso, che non aveva ritrattato nulla, nessuno credeva; l'Armonia avrebbe conti-