Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE BIBLIOGRAFIA; GARIBALDINI BIOGRAFIE
anno <1971>   pagina <652>
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Libri e periodici
Non la monarchia borbonica, marchiata ed isterilita dall'atroce vendetta, ma il governo mn ratti ano seppe riportare l'ordine economico-sociale nel processo di disici* vi mento dei residui fendali, ben definendo nelle ano libere forme la proprietà ter­riera, che si avviava a divenire la base dell'impalcatura delta Stato, e riaccogliendo, con hi sua volontà di progresso, la classe colta sbandita.
L errore di Murai fu, secondo il Moscati, di non secondare sul piano politico le aspirazioni costituzionali del ceto colto, ma si deve anche tener conto dell'autorità-risme napoleonico, nella cui orbita il re di Napoli, suo malgrado, si muoveva e da cui era condizionato. Mi sembra poi che a perderlo, nel 1814-18, non fosse tanto la disaffezione dei migliori suoi sudditi per le mancate concessioni costituzionali ma la sconfìtta del sistema napoleonico e la sua impossibilità di resistere alle potenze della restaurazione, anche se il dispetto per and rifiuto può aver attenuato nei fautori della costituzione il rammarico della ricaduta sotto i Borboni.
Non migliore esito le speranze costituzionali potevano avere col ritorno di Fer­dinando, che pure era stato costretto dagli Inglesi in Sicilia, verso la fine del periodo napoleonico, ad elargire istituzioni rappresentative. Il paternalismo autoritario del so­vrano, uscito dalla tutele britannica e restaurato nel suo regno di prima, risalta nel profilo che Fautore traccia a questo punto, accostando la rievocazione nostalgica di Salvatore Di Giacomo e gli sparsi rilievi di Walter Maturi.
La politica di Luigi de* Medici riusciva almeno a salvare i criteri della monarchia amministrativa murattiana, ma a costo di un deliberato centralismo napoletano, che suscitò hi protesta delle province, organizzatasi nella Carboneria ed esplosa coi moti del 1820, poi sostanzialmente controllati dalla moderazione degli elementi murattiani.
La dura reazione borbonica, incapace, nelle sue severe condanne, di distinguere e di staccare questa componente moderata dagli iniziatori del moto, orientò in senso nettamente conservatore gli ultimi anni di Ferdinando, ma non si esaurirono tra la borghesia più progredita le speranze di una rinnovata intesa con la dinastia, poiché è umano e frequente nella storia che, quando gli elementi progressisti non vedano l'alternativa ad un sistema che li ha delusi, seguitino a cercarla in un'ipotetica svolta riformatrice al suo interno.
Dopo il periodo di transizione di Francesco 1, che segnò un impulso nell'eco nomia e nei lavori pubblici, l'avvento di Ferdinando II, con la sua ricerca di effi­cienza, ridestò tutta la buona disposizione delle parti attive della società meridio­nale, con la potenziale prospettiva di un diverso corso per la storia del Risorgimento.
Il nuovo sovrano, cui è dedicato il più ampio ed organico ritratto, fissato soprat­tutto negli anni giovanili, ci è presentato in una prò alta tonalità di potere rispetto ai predecessori e allo scialbo successore Francesco II. Nel suo impegno per il raffor­zamento dell'esercito e per la prosperiti! del regno, egli si sforzò di attrarre al trono le energie militari ed economiche; ma il suo convinto assolutismo e l'esclusivistica napoletanità, che gli circoscriveva entro i confini del regno il concetto di nazione, lo posero in contrasto con le tensioni della cultura piò profonda e col pensiero politico liberale, anelante ad un'allargata patria e alle garanzie costituzionali.
A lungo andare, solo la più vecchia generazione gli offrì quel puro tecnicismo riformistico che cercava, mentre tra lo più giovani si diffondevano fermenti roman­tici del Risorgimento e proprio la sua Napoli diventava uno dei massimi centri di quella cultura moderna, di cui egli diffidava. La maturazione del liberalismo meridio­nale, svoltosi con una originale versione del neoguelfismo, che resta però Bolo accen­nata nell'opera, esplose nella grande convergenza nazionale del 1848, che:segnò la defi­nitiva spaccatura, non più rimediabile, tra la monarchia borbonica e le forze del progresso.
Malgrado la marchino amministrativa continuasse a girare, nell'ultimo decennio dei Borboni, meglio, a parere di Moscati, che non nel primo periodo dell'unità, il loro Sitato, dopo la nuova reazione, era giù virtualmente condannato alla fine.
H fallimento di Pieacane, elle precedette di soli tre anni il meraviglioso successo di Garibaldi, viene attribuito dall'autore allo manronza di una seria penetrazione pre­liminare tra le mosse e olla loro probabile diffidenza per lo spirito socialista che ani*