Rassegna storica del Risorgimento

PRALORMO, CARLO GIUSEPPE BERAUDO DI ; MILANO ; GUERRA 1848-1849
anno <1920>   pagina <27>
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J IL CONTE DI PRALOBKO E LA PACE DI MILANO 27
Senonchè la media della coltura in Piemonte era piuttosto bassa ; le idee in generale soJìrivano di una ristrettezza impressionante, e ras-soluta mancanza di ogni spirito di originalità, portava gli avvocati a copiare con burocratica coscienza i modelli classici del ribelle e del rivoluzionario, senza rendersi conto che i luoghi e i tempi consigliavano variazioni e adattamenti, se non si voleva che l'imitazione degenerasse in parodia.
Non si può far a meno di sorridere rileggendo oggi la prosa esal­tata degli scrittori e degli oratori più in voga presso il partito. Lo stile gonfio e pretenzioso si contorce in periodi impacciati, che studiandosi di apparire classicamente nobili, riescono invece semplicemente asmatici.
Sovente poi il contrasto evidente fra la modestia della realtà e la pompa della frase altisonante destinata ad esprimerla, richiama al pensiero di noi posteri irriverenti gli artifizi che crearono il successo dell'operetta orfembachiana.
Infatti la parola tiranno oramai evoca alla nostra memoria mi Ne­rone od almeno un Luigi XIV. Invece ci vediamo comparire dinanzi la bonaria persona dì Vittorio Amedeo UE, o l'indecisa figura di Carlo Alberto. Leggendo di corte e di cortigiani, l'immaginazione corre alle fastose riunioni di Versailles, ed invece ci accorgiamo che qni si vuol alludeie alla vita modesta e casalinga della reggia di Torino, ispirata ai principi della più stretta economia, dove il lusso più straordinario consisteva in certe iUuminazioni dei giardini reali, delle quali arrossi­rebbe al giorno d'oggi qualunque comitato per festeggiamenti rionali.
Il male si ;è che, siccome coloro che alzano maggiormente la voce sono sempre i più ascoltati, e<'talvolta anche i più temuti, così quando lo Statuto venne a sanzionare la libertà di stampa, il coro degli avvo­cati si impose all'opinione pubblica, e molti, che per naturale incli­nazione sarebbero stati alieni da ogni eccesso di linguaggio, si credet­tero in buona fede obbligati ad accordare il loro tono ai diapason degli esaltati per tema di essere accusati di tiepidezza verso le istituzioni liberali.
J>er convincersi di ciò basta gettare lo sguardo sulle relazioni fi­nali della campagna del '48, scritte da generali e da colonnelli, ossia da uomini non certo sospetti di tendenze democratiche.
Peggio ancora accadeva fra i pubblicisti e gli uomini politici, per­one si abusava molto a quei giorni della parola retrivo, e tutti coloro che se ne vedevano minacciati, si affrettavano a proferire: pubbliche di­chiarazioni di civismo, tanto più enfatiche, quanto maggiore era la paura 0 l'ignoranza.