Rassegna storica del Risorgimento
CALANDRELLI ALESSANDRO; STATO PONTIFICIO STORIA 1849-1853
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1972
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556 Giuseppe Monsagrati
lex.il élevé au rang de faveur >, ) questa l'amara considerazione di Luigi Pian-ciani su di una istituzione che nell'Italia preunitaria aveva travestito da graziosa concessione un metodo dì persecuzione politica. Il favore > fatto a Calandrelli fu dei più rilevanti, perché a Roma egli avrebbe fatto ritorno solo di 2 ottobre 1870, il giorno del plebiscito dell'unione della città all'Italia: 17 anni di lontananza, quelli che contarono per la formazione dello Stato unitario. Analizzare cosa abbia fatto e come abbia vissuto Calandrelli in questo lungo periodo, non rientra nei limiti del nostro lavoro, e quindi a questo punto l'esame dell'affare Calandrelli potrebbe dirsi concluso; senonché, quasi nel rispetto dei canoni tradizionali di certa letteratura poliziesca, a completare il quadro non manca una inquietante appendice a sorpresa che, è bene dirlo subito, ci ha lasciato piuttosto perplessi per la difficoltà di darle una collocazione precisa e di valutarne il significato esatto. Ma veniamo ai fatti.
Nel dicembre del 1853 la polizia romana intercettava una lettera cifrata proveniente da Berlino e indirizzata all'abate Dezobrjr-Volney. Parecchi mesi dopo, il Direttore Generale di Polizia Matteucci dava notizie del fatto alia magistratura, trasmettendo a Sagretti la trascrizione della lettera e attribuendone la paternità ad Alessandro Calandrelli.2) Questo che segue è il testo completo della trascrizione:
... Io spero che Vito penserà bene a casi suoi. Egli è reo di molte colpe, e principalmente quella di essersi abusato della mia amicizia, con prendersi ori, argenti e gioie delle Mantellate, quando io gli avea ordinato di portare ogni cosa alla Zecca; poi di avermi dato via roba non sua: che se per fortuna i capi del Governo di allora non mi fossero stati amici, fin da quel momento ci avrei fatto una infame figura. Sicché egli dovrà pensare a casi suoi, perché io gli vado a dare una querela a tutte le Autorità, e vedrà che mi crederanno. Oltre a ciò mi varrò delle mie ragioni in civile: in somma gli darò tanti guai, Io accuserò di tante cose, se egli non sta ai patti, che male per dio! gli andrà. Quello che so io, non sapete voi altri, perciò lasciatemi fare: siate sicuri che il briccone ha più che ricevuto la mia lettera, ma o cerca di pigliar tempo chi sa per quali mire, o le mire sue sono di volermi dare a tozzi e bocconi quanto ebbe da me: il fatto sta che quando siamo a rendermi conto, egli non vuole dichiarare: così gli aveste dato le mie lettere a tempo, quando io era prigione, poiché il briccone ne avrebbe avuto più timore. Oramai il fatto è chiaro che vuole cavarmi fuori, come ho detto, ma egli non ci riesce. Dalle due righe, che mi ha scritto, ben rilevo che finse non aver avuto nulla e batte il chiodo su quello che ha dato, quasi mi voglia dure poco più devo darvi > anche per vedere l'effetto dei denari se mi calmano, o per intimorirmi con una botta di polizia, che egli fin da quando era hi prigione avea questo pel capo: lo prova l'aver detto in processo che più volte mi è venuto a trovare in castello, quando stavo in segreta per accomodare l'interesse. In processo poi ha detto la somma che gli ho dato, ed altre cose, che non vi era affatto bisogno : questo per minare me, accomodare sé. Infine l'obbligo suo era di scrivermi saputa la mia libertà, darmi conto, e mandarmi quanto poteva: invece ha proseguito in ciarle inutili per straziarmi, finehé io vinto dal bisogno gli Uberi quanto ha nelle mani. Te gli hai a dir solo,
) L. PIANCMNI, La Rome des Papes cit, III, p. 332; per altre considerazioni sul-l'esilio si vedano le pp. 331*338.
2) ASJt, TrJb. Snpr. S. Contralta, Processi politici, 1849-1870, li. 220-15345,