Rassegna storica del Risorgimento

GALLETTI GIUSEPPE
anno <1973>   pagina <12>
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Alberto M. Ghisalherti
vando la ormai nota scarsa simpatia per Mazzini, divenuto un vero e pro­prio denigratore, anche in campo morale, dei mazziniani . Anche sé, indubbiamente irritato per l'abbandono degli amici d'un tempo e per le continue delusioni, sorprende molto vederlo assurto a difensore dei me? derati e disposto troppo facilmente a smitizzare , come oggi si dice, Ga­ribaldi. Che sia il caso di pensare non già al Galletti come materiale estensore della lettera a Lorenzo Valerio, ma a qualche altro ispiratore, o, meglio an­cora, che Galletti, il quale non era in quel momento a Bologna, sia stato solo il tramite dell "autore vero? È solo un'ipotesi, non una certezza. Il documento non esiste nell'Archivio Valerio della Biblioteca provinciale di Torino. Ad ogni modo, leggiamolo:
Bologna, 23 novembre [1859] Caro amico,
stiano conveniente di parteciparvi qualche spiegazione, in tutta amicizia, sulle cause che provocarono il ritiro del prode generale Garibaldi, e ritenete che quanto vado esponendovi è esatto. Voi conoscete quanto io stimi ed ami questo illustre italiano e quanto io sia inchinevole a scusarne qualche errore di mente; ma la verità anzi tutto. Tra suoi errori vi è quello di essersi circondato (salve sempre le eccezioni) di mazziniani, parte esaltati e parte spiantati, i quali tuttoché in apparenza sembrino a lui dévoués pure l'odiano, conciosiaché il partito lo abbia tra i reprobi. I primi tendono a farsene bandiera per una seconda spedi­zione di Sapri; i secondi un mezzo per accomodare i loro affari economici. Ed egli ch'è uomo d'animo ingenuo e di buona fede non s'accorge della trappola che gli vien tesa e si trova incoscientemente compromesso. Ora è a sapersi che co­storo, mediante emissari interessati e lettere fatte venire dai confini, avevano fatto credere a Garibaldi che l'armata napoletana d'osservazione era stata guada­gnata, ch'era tutta fremente per passare dalla nostra parte, e che sarebbe bastato la comparsa di lui per vederla defezionare m massa. Garibaldi restò all'amo, si esaltò e credette giunto il momento di tentare un gran colpo, e decise d'ese­guirlo a tutto suo rischio e pericolo. Ciò onora il suo cuore poiché fa veder l'uomo pronto a sacrificarsi per la patria senza misurare l'estensione del peri­colo. Ma egli non pensava in quel momento che un tal passo inconsiderato com­prometteva la causa italiana, il re, tutto. Noi avremmo avuta tutta l'Europa contro di noi, 'insomma sarebbe stata una vera catastrofe poiché è pazzia lo sperare un successo in quel disegno attesoché è falso ohe nella truppa napoletana siasi infil­trato lo spirito che gli accoliti di Garibaldi vogliono far credere (se se ne tolga qualche giovane ufficiale e qualche basso ufficiale), né che le popolazioni del Reame al di qua del Faro offrono eleménti sufficienti per un potente appoggio alla rivoluzione, almeno per ora. E il nostro governo ne è informato a fondo poiché ha in vari centri persone di fiducia che lo tengono al corrente di tutto.
Leonetto Cipriani era in cognizione delle mene dei mazziniani (coi quali l'ha a spada tratta), cercò di stornarle, ma temendo che ad onta de' suoi ordini un bel giorno il corpo di Garibaldi passasse il confine, ed essere lui perciò tenuto connivente o inetto, finì col dare le proprie dimissioni. Farmi, che gli successe, informato d'ogni cosa diede ordini precisi; Fanti fece altrettanto e da qui cornili* ciarono i malumori. X quali crebbero al crescere dell'in disc i p 1 ina delle truppe garibaldine, che composte in massima parte di giovani ardenti e insofferenti