Rassegna storica del Risorgimento

GALLETTI GIUSEPPE
anno <1973>   pagina <15>
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UllimB delusioni di G. Calici li 15
Un tema questo che, in una malinconica rievocazione di poco più di un mese dopo, troverà più largo sviluppo in un'altra delle fraterne confidenze al Cevasco:n
Monievecchio. 29 febbraio "60 Mio ottimo amico,
mi è di grande conforto il vedermi ricordato da voi che siete tra la schiera non troppo larga degli nomini probi e che si meritavano la stima universale: sof­fersi Udo un ingrato trattamento nell'anno scorso da quelli che mi dovevano affetto, e riconoscenza che mi sarei indotto a maledire coloro cui la folla pian-diva, se U mio cuore non ripugnasse a questo sentimento e se non avessi vedute onorevoli eccezioni. Quel grand*uomo di Cavour appena di ritorno da Plombiers (sic) mi scrisse che egli ed il ministero facevano assegnamento sopra di me: io perciò aspettava ansiosamente di essere chiamato: la mia ambizione era quella di morire per il mia paese: chi aveva per pia di trentanni faticato per tenere vivo il principio italiano; chi aveva sagrificato sé, i propri averi, la famiglia per questo santo lavoro, chi aveva sofferto esili, persecuzioni, durissime prigionie, condanna a morte,2) correndo questa via che preparava i bei giorni d'oggidì aveva ben diritto di avere questa ambizione, e di non essere lasciato a parte e repulso nel dì in cui si compiva l'opera per la quale aveva tanto fatto e sofferto. Eppure essa fu delusa: appena la setta de' moderati circondò Cavour, e sali sui seggi del comando nell'Italia Centrale io fui dimenticato: e non solo, fui dimen­ticato, ma trattato come un austriaco; volli vedere la patria mia, e se io non ne partiva precipitosamente, soffriva l'onta di esserne cacciato. Fu tale il mio dolore a questo iniquo trattamento, che ne perdeva quasi la testa, e cominciai a dubitare che fosse colpa l'esser stato sì attivamente amico della propria patria, anziché virtù. Ritornato subitamente su questo scoglio mi rassegnai, e scendendo nella mia coscienza vi trovai bastevole conforto per sopportare tranquillamente il peso della mia triste condizione senza rancori e senza speranze. Eccovi adunque, mio carissimo Cevasco, il mio stato, e da esso vedrete come mi giunga dolce la memo­ria di qualche amico. Veggo pur io che le vicende italiane si avvicinano ad un definitivo scioglimento, ed io sono con voi nello sperarlo conforme ai voti della Nazione. Avverrà però questo scioglimento senza un nuovo scontro di armi? Ne ho gran dubbio: l'esito di una nuova guerra lo spero propizio a noi: questa speranza però sarebbe assai più ferma se i Governi dell'Italia Centrale non avessero impecorite le popolazioni: se non avessero arrestato lo slancio loro quando volevano coli'armi e colla rivoluzione staccare le Marche e le Umbrie dal Papa, se non avessero impedito a Garibaldi di dar mano a quest'opera: Napo­leone e Vittorio Emanuele avrebbero mostrato di non approvare, ma a cose fatte si sarebbero acquetati e ciò che ora si tratta e si prepara per le Romagne,
') Pubblicata quasi integralmente in NBIII. op. cii., pp. 166*167, con la data del 29 gennaio, la riproduciamo dalla copia Codi gitola, nella quale è attribuita al 29 febbraio, sotto-lineando la parte già edita noli'ormai rarissimo catalogo genovese.
2) Questa della condanna capitale era proprio un'idea fissa del Galletti. In realta la sentenza del tribunale della Sagra Consulta, pronunciata il 20 agosto 1845 e comu­nicata agli interessati il 9 ottobre, condannava alla galera in vita con il Galletta, Mattia Montecchi, Giuseppe Camillo Mattioli, Ruggero Colonnello e a vent'anni Angelo Rizzoli.