Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1973>   pagina <118>
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Libri e periadici
parve realizzare in Italia e se non unti democrazia perfetta almeno, per usare il I in-gu aggio di Gaetano Salvemini, fonte questa certo non sospetta, una democrazia in cammino .
Aquarone non einde il problema della eventuale responsabilità di Giovanni Gio-Ulti, che con la sua tecnica di governo e di amministrazione avrebbe favorito quel disgregarsi delle istituzioni destinato a culminare dopo la prima guerra mondiale ; non accetta, però, di identificare nel gioliuismo la radice prima del fascismo! por essendo ben consapevole dell'emergere in età giolittiana di fermenti nazionalistici e di ten­denze autoritarie in vasti settori della borghesia.
11 fascismo gli appare, invece, strettamente legato all'esperienza vissuta dal paese nel corso della guerra mondiale e chiaramente identificabile nella sua natura di rea­zione al comunismo, reazione favorita sia dalle circostanze belliche sia, soprattutto, dalla paura dei rossi divampata dopo il 1917 in seguito al successo della rivoluzione d'ottobre. E, quindi, al di là e contro i troppo facili giudizi di condanna del libera­lismo risorgimentale formulati dagli eredi di quelle forze che il Risorgimento non fecero, contesta quella saldatura storiografica tra liberalismo e fascismo che costituisce una delle caratteristiche della ricostruzione di comodo della storio unitaria italiana da parte di certi storici cattolici sprovveduti e della parte più grezza della storiografia marxista.
La compiutezza e la profondità del discorso di Aquarone appare così ài tutta evi­denza. Il Risorgimento non è fallito perché realizzò con l'unità e l'indipendenza ordi­namenti liberali che, a dispetto della tragedia bellica e del fascismo, mostrarono la loro vitalità, la loro capacità di far progredire la società civile ed indubbie qualità di recupero in frangenti difficilissimi e pericolosi. Infatti la tesi del fallimento del Risor­gimento, affiancata spesso a quella del fallimento della Resistenza antifascista, igno­rando volutamente il contenuto reale dei due processi storici tendenti ad una libera­zione nazionale e non ad una rivoluzione sociale, giova solo ad una identificazione tra borghesia, liberalismo e fascismo ed alla formazione di uno schema politico di comodo a tutto vantaggio di coloro che, fondamentalmente illiberali perché eredi di un cattolicesimo intransigente o di un marxismo assente dalla srena dell'Ottocento ita­liano, tendono a seppellire definitivamente con la tradizione anche gli ordinamenti ereditati dal liberalismo. E contro questa tesi reagisce Aquarone.
CARLO GHISALBEBTI
HAnT.MUT ULLRICH, Le elezioni del 1913 a Roma. I Liberati jra Massonerìa e Vaticano (Biblioteca della Nuova Rivista Storica, 32); Milano-Roma-Napoli-Città di Ca­stello, Società editrice Dante Alighieri, 1972, in 8, pp. 119. L. 1.500.
Il primo quindicennio di questo secolo, rispetto al successivo sviluppo della società italiana, ha indubbiamente rappresentato un nodo storico di fondamentale importanza. Un'età si stava chiudendo quella risorgimentale e lo Stato che da essa era nato aveva bisogno di aprirsi nuove strade, ricercare nuovi equilibri sia al suo interno, sia a livello internazionale. É impossibile comprendere i rivolgimenti politici sociali, econo­mici e culturali che seguirono il primo conflitto mondiale, prescindendo da quella che viene genericamente chiamata età ginlittiana . Su di essa, da diversi anni ormai, si è rivolta l'attenzione di alcuni tra i più preparati studiosi di storia nazionale. Puriuttavia il mosaico è ancora lontano dall'essere completo ; man mano che verranno collocate altre tessere, bisognerà rivedere ed aggiornare posizioni e prospettive storiografiche.
È opinione abbastanza frequente che, a Roma, il crollo del e Blocco , tra il 1913 ed il 1914, sia etato favorito o comunque permesso da un Giolitti ormai apertamente intento a rafforzare i legami d'alleanza con i cattolici. Eppure lo studio di Harinnii Hullrich chiarisce come, in occasione del primo suffragio universale, proprio in alcuni collegi della capitale ma la circostanza si ripetè analoga in non pochi altri, a livello nazionale il presidente del Consiglio impegnò tutta la sua autorità a fianco dei