Rassegna storica del Risorgimento

BANCA ROMANA STORIA 1889-1895; BANCHE
anno <1973>   pagina <429>
immagine non disponibile

A oitant'anni dalla Banca Romana
429
namento, o quanto mono una pacifica convivenza, nell'aUività dei Ire istituti d'emissione superstiti (e dunque salvaguarda indirèttamente i banchi meri­dionali).
In sostanza, si ha la sensazione che, una volta accantonata la banca unica, e venuta meno l'opposizione di Sonnino, la commissione, benché riluttante e diffidente, non sia assolutamente in grado di disegnare un'alternativa al pro­getto ministeriale, e perciò tutto si riduca a circondare di garanzie la sopravvi­venza subalterna dei banchi di Napoli e di Sicilia, secondo quanto auspicalo dal Gioì itti e realizzato da Salandra (permanenza dei depositi fruttiferi, nuova legge sul credito fondiario, rigida distinzione tra gestione aziendale e influenza politica alla Giusso, e cosi via) in una prospettiva empirica di buon governo che è lo stesso presidente del Consiglio ad enunciare dinanzi alla commissione a smentita indiretta del rigorismo aprioristico di Sonnino (Il vero modo di fare che la circolazione si limiti da sé è il serrare bene i freni ai conti correnti ed ai cattivi impieghi ).
Naturalmente, di questa concordanza la maggioranza ministeriale (e meri­dionale, Salandra, Cocco Ortu, Yastarini Cresi, Di Biasio, con la significativa rentrée di Sonnino) approfitta per forzare alquanto la mano al governo, sia in senso statalista (la liquidazione della Banca Romana sottratta alla Banca d'Ita­lia) che regionalistico (aumento dell'interesse dei conti correnti, a cui si ammet­tono, malgrado i loro trascorsi, gli impresari edilizi) fino alla fondamentale, ed anche qui molto sintomatica, convergenza di Salandra e Sonnino nel ritenere esiziale * ogni anche minimo aumento di circolazione, e quindi, in concreto, nel limitare al massimo quella consentita alla Banca d'Italia, nonché nell'esclu-dere ogni vincolo alla fioritura dei conti correnti, su cui si basa la prosperità dei banchi meridionali.
Su questi punti, per la verità, i ministeriali ortodossi, sia moderali (Bo-selli, ma qui entra un piemontesismo non meno regionalistico) che progressisti (il relatore Cocco Ortu) tengono duro, ma, se la limitazione alla Banca d'Italia si riesce a contenere, a maggioranza d'un sol voto, da 840 ad 800 milioni, quella del Banco di Napoli rimane pressoché identica (da 195 a 190 milioni: Salandra e Boselli avevano rispettivamente ed estremisticamente proposto 704 e 150 mi­lioni, mentre sui conti correnti si raggiunge un insignificante compromesso), mentre la proposta Giolitti per un -rinvio della regolamentazione della riscon­trata viene compattamente respinta.
Velleità, tutte queste, s'è già accennato, opinioni fine a se stesse, in quanto la Camera avrebbe ripristinalo pressoché integralmente il testo governativo, salvo le modifiche innovative in seguito apportate da Sonnino, e lutt'aliro che trascurabili quanto all'applicazione legislativa.
Pure queste velleità e queste opinioni hanno un peso politico rilevantis­simo per scendere a fondo nelle pieghe della Camera giolittiana venuta fuori cosi burrascosamente e compositamente dalle elezioni generali del novembre 1892, per cogliere i presupposti e le giustificazioni non solo del suo successivo intransigente crispismo ma soprattutto degli itinnra di uomini politici che avrebbero attraversato l'età giolittiana senza mai confondersi compiutamente con le posizioni del leader, per poi riacquisire connotati propri e distinti, alla Salandra, alla Cocco Orto, sconcertanti soltanto nell'apparenza.