Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno
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1973
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pagina
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598
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LIBRI E PERIODICI
ALEXANDER DECONDE, Half Bitter, Hai/ Stveet: An Excursion imo Italian-American History, New York, Charles Scribnea's Sons, 1971, in 8", pp. VTI-466. . 12.50.
Sia al di qua, sia al di là dell'Atlantico, nell'ultimo mezzo secolo si è lavorato sui legami tra l'Italia e gli Stati Uniti. Basta gettare uno sguardo all'articolo di Kent R. Green-field. La storia americana e l'Italia, nella Rassegna storica del Risorgimento del 1962 (pp. 237-260), per notare una lunga lista di storici americani che hanno scritto sull'argomento, a cominciare dagli apporti del compianto Howard R. Marrani. Era ormai necessario riunire in un solo volume i vari e sparsi contributi sulle relazioni italo-americane: questo e il disegno ambizioso al quale si è accinto Alexander Deconde, il noto professore di storia diplomatica della Università californiana di Santa Barbara. Autore egli stesso di parecchi lavori (tra i quali è -4 History of American Foreign Polìcy, del 1963) si è accinto a questa fatica, tre quinti della quale riguardano gli anni posteriori al 1917, forte della sua esperienza di oriundo italiano e di borsista Fulbright al centro di studi americani di Roma.
Sottolineiamo l'intento dell'A. con le sue stesse parole: Nel 1970 negli Stati Uniti vivevano tanti cittadini di origine italiana quanti non ve ne erano in nessun altro paese, eccettuata l'Italia ... Nonostante il loro numero, soltanto in anni recenti gli italo-americani, della terza o della quarta generazione, hanno ottenuto una situazione di rispetto negli Stati Uniti . Di qui il titolo del volume Metà amaro, metà dolce, il clic vuol significare che gli Americani hanno guardato con grande simpatia alla cultura italiana, ma hanno maltrattato gli emigrati napoletani e siciliani. Tra i primi abitanti del nuovo continente, a differenza dei Britannici, degli Olandesi e dei Tedeschi, gli Italiani erano stati in numero scarso. Nel periodo 1775-1825, quando si solidificò la coscienza nazionale statunitense, solo un pugno d'uomini varcò l'Atlantico dall'Italia, per cui in quegli anni gli Americani non si trovarono in contatto con gente che avesse ancora radici in Europa, ricevesse lettere da casa o vi ritornasse per riabbracciare i parenti. Gli Italiani che arrivavano erano piuttosto pittoreschi, esuli politici, eccentrici vagabondi o marinai in attesa d'imbarco. Quando, durante l'ultimo venticinquennio del secolo XIX gli Italiani cominciarono a giungere in numero sempre crescente, le altre più antiche comunità nazionali impressero loro un ingiusto marchio da paragonare a quello di negro della. Capanna dello zio Tom. L'Italiano era considerato lavoratore incapace, povero, sporco, analfabeta e cattolico (il che non gli permetteva di aver contatti con la maggioranza protestante, che riteneva hi fede altrui n superstiziosa e per indicare il a boccone del prete dei polli, lo chiamava naso del papa ). Si credeva che tutti gli Italiani fossero di pelle scura, portassero orecchini, gesticolassero troppo, amassero il vino, gli spaghetti e la pizza, parlassero sboccato, preferissero la città alla campagna, votassero per il partito democratico e lavorassero per salari inferiori a quelli degli Americani di origine irlandese. Agli emigranti italiani si appioppavano soprannomi denigratori; le orribili parole wop , guinea , dago , derivavano, infatti, da quella immagine stereotipa.
Non si poteva sperare che l'Americano medio, il quale dava per scontata questa situazione, ai interessasse al paese d'origine di quella gente se non per appendere una oleografia del Foro romano nel proprio salotto, anche se leggeva i romanzi di F. Marion Crawford o ascoltava al grammofono i dischi di Enrico Caruso.
Il compositore Irving Berlin fu uno dei pochi che superò l'opinione convenzionale; la sua prima canzone, pubblicata nel 1907, me lo disse lui stesso, fu Maria che vieni dall'Italia assolata- e si iniziava con questi versi pieni di sentimento: a My sweet Marie from sunny Italy / Oh, how I do love you / Say limi you 'Il love me, love me, too . Considero questa canzone di grande importanza perché è la primo espressione popolare che ho tro-