Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1973>   pagina <601>
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Libri e periodici
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affinità sperimentale (che ha il suo peso, e spiega Io scientismo di gran parte della cultura palermitana del secolo successivo) deve parlarsi di simpatia politica per una realizzazione culturale e storiografica quanto e più di quella del Giannone a passo con l'evoluzione della pubblica opinione.
La simpatia non è tuttavia sufficiente (e qui torniamo al sostrato sociale, alTirrcpetì-bilità. per dirla eoi Falzone, del fenomeno siciliano) nemmeno a pervenire in effetti, quanto :ft .'risultati, al livello sistematicamente controversistico e ce civile del Giannone, sebbene a quell'esempio espressamente e significativamente si rifaccia il Di Blasi, non forse destituito affatto di pensiero storiografico, come parve severamente al Romeo, ma senza dubbio anna­lista estrinseco ed anacronistico, quantunque molto a proposito FA. ne sottolinei certi rigo­rosissimi postulati tipicamente illuministici, il cosmopolitismo, lo scrupolo per la verità, l'effetto taumaturgico delle leggi, l'aggancio inevitabile a Filangieri, insomma, ebe, ve­nendo però fuori con un trentennio di ritardo (e quale trentennio!) offre quasi plastica­mente la misura della sfasatura del <c progresso siciliano rispetto all'eredità < le II "0 unni anove..
Ed alla metodologia giannoniana, secondo il Romeo, non pervengono neppure le Con­siderazioni del Gregorio, pur da lui cosi calorosamente lodate per la dottrina vigorosa onde affermano i diritti del riformismo assolutistico contro i privilegi aristocratici (ma, ancora una voltai contro tempo, proprio quando quei privilegi cominciano a trasformarsi in pre­tese costituzionali all'ombra delle baionette inglesi, dopo aver frantumato il tentativo del Caracciolo!).
Perciò la ricostruzione che FA. fa del ruolo del Gregorio, rifacendosi ad un certo tipo di costituzionalismo (Montesquieu) e di erudizione (Muratori) al centro del quale è però sempre un despota illuminato neogiannoniano, è di primaria importanza non tanto nella temperie dell'epoca (che il Gregorio interpretò in senso fieramente conservatore, an­cora una volta ai limiti dell'anacronistico) quanto nella prospettiva preromantica dello spirito nazionale ottocentesco, quel trasferire dalla nobiltà alla borghesia la fiaccola del parlamentarismo anglicizzante (e si sa quanto questa fosse operante in Crispi), quell'idealiz­zazione tutta ghibellina, paternalistica e patriottica dell'età normanna a rivendicazione dì un primato che non sarà più negletto.
L'uomo del 1812, il primo scienziato borghese dell'Ottocento siciliano, il fonda­tore di quel classicismo che sarà la massima forza culturale siciliana nei confronti di Napoli, e Domenico Sema, che Romeo tratta con qualche sprezzalura specialistica verso un'intel­ligenza multiforme ed irrequietissima, ma che sostanzialmente è un a filosofo della so­cietà alla Romagnosi. secondo il brillante parallelo ragionato a lungo dall'A. (ma in Sicilia manca un Cattaneo, et pour caitsel), e dunque un politico impegnato, un democratico, che si rifa ad Empedocle ed Archimede come sapienti scaturiti da una società libera, e descrive la letteratura siciliana settecentesca come un presupposto civile e sociale per l'aziono riformistica.
Al Gregorio patriarca del ghibellinismo ideologico assolutistico ed allo Scinà, che compie qualcosa di simile per il classicismo culturale demoeratizzante, si affianca lo Scro-f;ini. che apre la via alla più tipicamente borghese, progressista ed avvenirista delle compo­nenti accennate quella del liberismo economico, ma lo fa (ceco un'altra delle strozzature siciliane, che giustifica L'assenza di un Cattaneo) su piattaforma così fieramente conserva­trice da porsi obiettivamente alla retroguardia dei suoi pur cosi paludati ed austeri prede­cessori, sicché (ed è cosa di gran momento, giacché neppure il talento geniale del Balsamo seppe trarsi dalle uccello costituzionalistiche degli aristocratici, meritando forse appunto per questo l'adesione incondizionato del Romeo) l'avanguardia doll'imborgbesimcnto rivo­luzionario ottocentesco fu politicamente dagli economisti abbandonata agli storici ed ai giu­risti, soprattutto dopo che Palmari ebbe corrotto in senso monarchico ed oligarchico (che restò definitivo, fino almeno a Rapisardi, in t ut l'ai tra temperie culturale) quel classicismo greco e sictiiota che Scinà aveva cercato di evocare dinanzi al provvidenzialismo dei prin­cipi normanni.
In lai modo (d nuche ciò appare meritevole di sottolineatura), all'indomani del costi­tuzionalismo e del separatismo, quando, sullo scorcio degli anni trenta, ai dovettero fare defi­nitivamente i conti col riformiamo della Napoli romantica, guelfa, protezionista di Ferdi­nando li, la sola grande forza culturale siciliana aggiornata e pugnace si rivelò quella itisi-