Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1973>   pagina <640>
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640 Libri e periodici
bei suoi confronti da parte del Governo di Roma, costituisce un elemento di giudizio parti-! colarmente indicativo dell'evoluzione della politica italiana: allorché esso è messo da parte come durante il periodo Crispino è per il fatto che gli orientamenti della polìtica italiana in campo internazionale stanno mutando: i tentativi di espansionismo africano vie­tano di tenere accesi alle frontiere del Paese dei focolai di tensione, focolai invece che si prestano bene ad essere attizzati nel momento in cui l'Italia si accinge a ritornare nel solco della tradizione risorgimentale.
Che cosa l'irredentismo abbia significato come fattore di spinta, psicologica e politica, per l'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 è facile comprendere. La rottura dell'innaturale legame rappresentato dalla Triplice significò, prima di ogni altra cosa, ritornare al prin­cipio fondamentale della nazionalità, che, nel riflesso dell'insegnamento mazziniano, aveva rappresentato il cardine dell'azione che aveva portato l'Italia alla riconquista della sua indi­pendenza. Malauguratamente, però, l'interventismo non era tutto di marca democratica: le correnti nazionalistiche avevano un loro peso, inceppante, travisando i presupposti di una guerra ancorata, per quanto possibile, ad un principio di giustizia: le velleità annessioni-stiohe di regioni pressoché totalmente allogene, di cui appunto si facevano interpreti le correnti più accesamente nazionalistiche, determinarono su vasta scala contrasti ed incom­prensioni, rompendo in momenti gravi quell'unità degli spiriti che pur sarebbe stata necessaria.
Questa frattura, oltre che negli ambienti dei fuorusciti irredenti (che, a guerra ini­ziata, raggiunsero il culmine massimo di 86 mila) si manifestò con pari intensità in tutto lo schieramento politico italiano, che aveva patrocinato l'intervento contro gli Imperi cen­trali. Ed è questo il punto che va messo in particolare rilievo: le due direttrici relativa­mente ai fini della guerra, quella ancorata al Fatto di Londra e quella, con più aperta e moderna visione, che prendeva le mosse dal Patto di Roma.
Il Patto di Londra era la convenzione segreta in base alla quale il Governo di Roma si era deciso all'intervento a fianco dei Paesi dell'Intesa, che ad esso avevano riconosciuto larghe possibilità annessionistiche nei territori appartenenti all'Impero austro-ungarico. Il Patto di Roma, redatto nell'aprile del 1918 a conclusione della conferenza delle nazionalità oppresse, patrocinava, secondo la concezione mazziniana, la dissoluzione dell'Austria e la costituzione appunto dell'Europa delle nazionalità.
A difesa dei principi affermati dal Patto di Roma fecero blocco tutte le forze più coscienti ed attive della sinistra democratica italiana, che sapevano di aver la loro punta avanzata nella Democrazia Sociale Irredenta, reincarnazione nell'esilio della Democrazia Sociale Italiana, già operante, come propaggine dell'organizzazione mazziniana, nelle terre ancora soggette alTAustria-Ungheria. Nonostante e contro le rabbiose reazioni e le sovente bassamente diffamatorie denigrazioni nazionalistiche, si realizzò un'autentica mobilitazione di energie politiche, ma anche, e forse più ancora, di energie morali. Uno schieramento che vedeva affiancati uomini quali Leonida Bissolati, Gaetano Salvemini, Giuseppe Canepa ed Eugenio Chiesa ed altri di altrettanta levatura si qualificava da sé, come portatore e restauratore dei principi del Risorgimento, delle pagine, cioè, più vere e più belle della no­stra storia nazionale. Indipendentemente dai risultati, fu una grande e nobile battaglia, una delle più qualificanti certo tra quelle combattuto dalla sinistra democratica italiana. Ricor­darla nella sua essenza, con la precisione e l'approfondimento con cui è stata ricostruita da Renato Monteleone, è sottolineare una vicenda che torna a tutto onore di chi l'ha vis­suta e combattuta.
LEONIDA BALESTRICI
GIANI STUPARICH, Saquetue per Triettn, a cura di A. PITTOM; Trieste, 1973, in 8 pp. 168, con 9 tav. f.t. S.p.
Non è un diario, e nemmeno un'autobiografia romanzata, o meno ancora un romanzo; è invece un'opera narrativa vicinissima alla storia, un delizioso raccontare in otto sequenze.